E' la questione centrale. Il problema, l'interrogativo posto dal proprio profondo e che sta all'origine della crisi che movimenta, del malessere interiore che l'inconscio genera e alimenta, è proprio questo: cosa governa la propria vita? Su quali basi e seguendo quali guide prende forma e si articola il proprio pensiero e ciò che ne scaturisce come scelte e modi di procedere? Presi dalla foga di far procedere le cose e infastiditi da tutto ciò che pare intralciare la corsa, si trascura e si è molto lontani dall'interesse di aprire una simile riflessione e verifica. Confortati dal pensiero e dagli orientamenti comuni e prevalenti nell'idea che tutto vada bene e che non ci sia necessità e urgenza di capire il senso e il fondamento dei propri convincimenti e intenti, si è pronti a reagire ai richiami interiori, ai segnali di allarme e di crisi, ai vissuti di malcerto e inquieto animo, alle complicazioni interiori che non danno via libera, che anzi azzoppano il solito procedere, come a fastidi, a malaugurati impedimenti, a segni di malfunzionamento da contenere, da mettere a tacere, eventualmente, anche attraverso una psicoterapia ad hoc, da rimettere in riga e da sostituire con adattamenti più consoni e funzionali allo stare in corsa, nella solita corsa e rincorsa. Si crea così o persiste, visto che i richiami interiori durano da tanto tempo, la divergenza tra il punto di vista e l'intenzione profonda dell'inconscio di sollevare la questione di che cosa governi la propria vita e l'atteggiamento della parte conscia che, convinta che tutto vada indiscutibilmente bene nel proprio procedere, che solamente vada cercata l'efficienza o il quieto vivere. I richiami del profondo, i sommovimenti e le complicazioni interiori volte a inceppare la corsa e a renderne tangibili i punti critici, non quelli da oliare per correre meglio, ma quelli di fondo che denunciano un procedere che non sta in piedi, che non si regge su se stessi, che va dietro regole e grammatica che nulla hanno a che fare con ciò che si potrebbe da sè comprendere, avvalorare e porre al centro della propria vita, non sono intesi dalla parte conscia, che anzi è pronta a bollare come segni di inefficienza, se non di patologia, ciò che è lontanissima dal rispettare, dall'ascoltare e dal capire. La mentalità e l'orizzonte angusto della parte conscia, che solamente vuole darsi conferma che tutto va bene e che non va persa l'opportunità di fare centro su obiettivi, che sembrano ovvi e irrinunciabili al traino di idee e di modelli comuni, si misurano con il ben diverso animo e sguardo della parte profonda che non rinuncia a sollevare la questione di fondo. Cosa sa vedere il proprio profondo e quale sguardo cerca di far condividere dalla parte conscia? Sa vedere che scelte e obiettivi sono sorretti e resi scontati e irrinunciabili dal comune modo di intenderli e di erigerli a mete e traguardi desiderabili e prioritari. I modi di affermare se stessi sono incardinati su modi di intendere ciò che nell'idea comune e prevalente, resa ovvia e assoluta, costituisce prova di essere individui capaci, validi, realizzati. In apparenza si è padroni e arbitri della propria vita e delle scelte che si compiono, ma in realtà si va dietro e si è regolati da altro, assunto passivamente e riprodotto automaticamente. La questione del governo della propria vita, di cosa la guidi e la regolamenti è centrale e rilevantissima, non è questione superflua, astratta o filosofica. Senza attento riesame e verifica dei propri modi procedere si rischia di consegnare la propria sorte a qualcosa che ne decide e ne limita i movimenti e le prospettive. Il rischio è che nulla si generi da se stessi e in conformità al proprio essere e alle proprie vere potenzialità, nulla sostenuto da proprie ragioni e scoperte. In sostanza il governo della propria vita è ceduto a altro, che della propria vita ne fa copia e riproduzione di un'idea e di un assetto già deciso e consolidato. E' il furto del proprio che non vivrà, del proprio progetto che sarà affossato per far vivere qualcosa di regolato e concepito da altro preso in prestito, assunto a guida e riprodotto. Generare e creare, formare e coltivare le proprie idee e dare al mondo le proprie risposte, cadranno nel nulla, nel limbo dell'impossibile per cedere il passo all'immediato e a pronto uso, al possibile della cosiddetta realtà, aderendo e consumando le soluzioni già pronte e consuete del così fan tutti e del cercare sempre fuori di sè ogni risorsa e conferma, senza cercarle e portarle a maturazione dentro se stessi. Non essere arbitri della propria vita, pur convinti di esserlo per coscienza frettolosa e chiusa su se stessa, sorda a verifiche, a ricerca del vero, è il motore del fallimento della propria esistenza, pur se a norma e ben confortata da idee e da modelli comuni, fallimento sostanziale che la parte profonda del proprio essere contrasta e combatte con pervicacia, mettendo in campo la crisi e il malessere interiore, dando segnali che vorrebbero indurre a sostare e a riflettere per trovare finalmente la propria vera rotta, per prendere davvero in mano il governo della propria vita.
domenica 31 gennaio 2021
venerdì 29 gennaio 2021
Entrare
La scelta meno favorevole a se stessi in presenza di
malessere interiore è di porsi subito in combattimento con quanto
interiormente si sta provando, che, se anche spiacevole, debilitante e
compromettente la propria consueta modalità di procedere, non per questo è una
calamità, un che di ostile e di nocivo. Tutto prende forma interiormente in
modo niente affatto inconsulto, non c’è meccanismo guasto. C'è una parte intima
e profonda del proprio essere che ha consapevolezza di quanto si debba capire e
trasformare di se stessi. Questa parte di se stessi ha intelligenza ben
superiore e più lucida di quella che si attribuisce ai propri abituali
convincimenti e modi di pensare. Le crisi non si aprono mai per caso.
Sempre hanno una necessità d'essere e perseguono uno scopo di cambiamento
assolutamente utile oltre che indispensabile. Si ignorano in genere il
significato e lo scopo degli eventi interiori, non solo nel modo di pensare
comune, ma anche in quello di non pochi terapeuti, pronti da subito a trattare
come anomala l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a volerla
correggere e riplasmare come fosse un che di sfavorevole e non un fermo invito
a avvicinarsi a se stessi, a conoscersi, a ripensarsi, a portare
a compimento un processo di crescita personale sinora ignorato o malinteso
come semplice adattamento e allineamento a schemi e a parametri comuni.
Ognuno ha necessità di trovare le proprie ragioni d'esistenza, le proprie
risposte, il proprio modo di vedere e di concepire la propria vita, pena
il rischio di perdersi nell'apparentemente buono e giusto delle strade già
segnate dalla cosiddetta normalità. Entrare creativamente nella propria crisi
interiore, imparare a capire cosa il proprio sentire dice, mettersi in contatto
e in dialogo con la propria interiorità, capace di dare, di dire e di
comunicare tanto, sia attraverso le emozioni, gli stati d’animo, non importa se
difficili e poco piacevoli, che attraverso i sogni, anzichè combatterla come
fosse presenza nemica, inaffidabile e malata con farmaci e quant'altro,
cominciare a fidarsi e a trovare intesa con il proprio intimo, scoprire che la
crisi si è aperta per dare opportunità e non per toglierne, è cammino possibile
e davvero favorevole. Non è cammino facile, perché inverte il modo abituale di
procedere e di pensare, perché implica avvicinare, accogliere ciò che in genere
o si rifugge perché in apparenza negativo e spiacevole o si pretende di
regolare e di riplasmare, anziché rispettare, imparare a ascoltare e
valorizzare. La vera cura che ci si può offrire utilmente è l’apertura a se
stessi e la scoperta che nel proprio essere c’è una parte tutt’altro che
insignificante o inaffidabile, che in tutto ciò che propone, proprio tutto,
comprese le ansie e quant’altro di difficile e poco gradito può muovere
interiormente, sa dare il giusto terreno su cui ritrovarsi per aprire gli occhi
sul vero, per capirsi. E’ necessario compiere dunque un cammino nuovo, entrare
anziché cercare prontamente di uscire e di superare i momenti e i percorsi
interiori e quanto offrono, è necessario imparare il linguaggio
dell’interiorità, che forma e nutre un modo di vedere più intimo, approfondito
e riflessivo. Serve l’aiuto di chi sappia accompagnare e far scoprire tutte le
novità di un simile percorso di avvicinamento a se stessi e di crescita.
Curare, aiutare l'altro a prendersi cura di sé per favorire l'incontro e
l’intesa con se stesso, con la parte intima e profonda di se stesso che
inizialmente mette in crisi il procedere solito per aprire una stagione di
cambiamento è una cosa, curare per spegnere e zittire o per pretendere di
invertire e raddrizzare ciò che interiormente è considerato anomalo e nocivo è
un'altra. Questa seconda modalità di cura, purtroppo non poco diffusa, rischia
di alimentare e rafforzare la divisione e la lontananza da se stessi, la
sfiducia nel proprio intimo, vissuto come meccanismo guasto, oltre che di
impedire di raccogliere tutto il nuovo e il positivo che il cambiamento aperto,
innescato dalla crisi interiore vorrebbe produrre. Entrare dunque nel confronto
e nel dialogo con la propria interiorità, farsi aiutare per questo scopo, per
poter uscire più forti e coesi con se stessi, arricchiti di ciò che la crisi ha
voluto promuovere, questo è possibile oltre che auspicabile.
domenica 24 gennaio 2021
Ciò che non si vuole riconoscere
Quando ci si confronta con la crisi e col malessere
interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una
minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si
considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non
si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera
consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso
di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di
un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui
binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che
senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo
patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la
sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di
identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non
si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del
proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse
dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con
ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza
fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il
problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col
malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile
e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di
spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa
iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere
e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta
come disturbo e patologia, confermando così soltanto l'incapacità di
intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità
e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di
essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di
far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza
secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero
capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di
raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e
comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente
corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non
essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il
raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo
un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a
scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci
si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e
nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il
lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.