L’impronta prevalente del discorso sulla propria
condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il
lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è
comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente
interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire,
l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza
interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento,
allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta
al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame
significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel
proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi,
col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa
lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore
d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e
di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e
rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e
sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono
nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune.
Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di
capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine
logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si
perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che
vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e
riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non
è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria
esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta
sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del
marginale e dell’inascoltato, dove sono relegate e mantenute dalla
cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra
abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia
conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite
indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un
sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di
rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta
offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del
sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno
concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa
sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore,
pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un
demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a
guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la
frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale:
dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per
capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da
sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso
del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti),
per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un
cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto,
voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente
richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per
ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche
aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la
sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la
riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente
come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare
finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno
alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di
chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo
della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio
profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio
essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se
stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio
sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che
sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà
unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se
stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e
modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa
rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si
affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della
vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur
di essere normali e (più o meno) come prima.
sabato 8 agosto 2020
Malessere e lamento
venerdì 7 agosto 2020
Lo scambio
Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si
affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé
vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile.
Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque
ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di
non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di
inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al
giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e
abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e
responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se
stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per
intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di
legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce
questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale,
della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino
in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare,
sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare
altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a
modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare
i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli
inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che
è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione,
calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con
l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità,
se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie
gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di
risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il
surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più
lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far
vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte,
mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate
distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di
essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi
premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon
mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di
affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che
richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e
spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra
libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e
significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate,
per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i
traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta
e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli
peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla
spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la
maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per
procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione di
crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per
fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa
fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda,
che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come
cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende
vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello
stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso
giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a
compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal
passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per
cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del
proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi
di pensiero ragionato e di volontà, dorme (pur agendo) e equivoca (pur
dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria
condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista
l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che
interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con
l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà
eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere
la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione
all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel
vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che
lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza
del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio
essere, su lontananza da sè, dal proprio intimo, su modi e svolgimenti
privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente,
vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere
la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla
propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di
carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla
scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente
un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se
stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e
abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e
senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e
di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la
persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero
da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi
tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non
c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che
serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o
distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far
sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui
potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè,
convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per
buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che
abbia la propria impronta..