giovedì 22 settembre 2016

il punto critico

Un'esperienza di sofferenza interiore raggiunge spesso il punto critico quando l'individuo, nel rapporto col suo sentire, con ciò che vive interiormente, non dà (e ripetutamente) risposta improntata all'ascolto e protesa alla ricerca del senso e del vero, portati dal proprio sentire, perciò alla salvaguardia dell'unità con se stesso, ma una risposta di paura e di insofferenza, di rifiuto e di fuga, persino di squalifica di ciò che la sua interiorità gli propone con forza, giudicato semplicemente sbagliato, anomalo e assurdo. La conseguenza di un simile atteggiamento è rilevante, perché genera rottura dell'unità del proprio essere, senza che di questo e della sua gravità l'individuo si renda consapevole. Affermazioni come quelle circa la necessità innanzitutto di combattere l'ansia, l'umore depresso, il malessere interiore nelle sue diverse espressioni, sembrano talmente ovvie, sostenute dall'idea, altrettanto in apparenza scontata, che sia in atto un processo negativo, sfavorevole o pericolosamente  malato, che passa del tutto inosservato che quanto si sta mettendo in atto nel rapporto con se stessi è l'espressione di un colossale travisamento. L'individuo è convinto di sapere già cosa sia il meglio e l'irrinunciabile per se stesso, così come di mobilitare le energie migliori per confrontarsi con ciò che sta vivendo. Si sforza di darsi una spiegazione dell'insieme di ciò che sta provando interiormente, spesso trattato più come strano meccanismo da regolare, che come propria intima esperienza e sensibilità viva da valorizzare e da ascoltare, da imparare (facendosi casomai aiutare in questo) a comprendere in ciò che originalmente sa e vuole comunicare, dire, far capire di se stessi. Il pensare, spiegare e argomentare razionale pare la migliore risposta all'esigenza di capire. Quanto siano affidabili e fondate simili spiegazioni e  argomentazioni è tutto da vedere. Un argomento ricorrente quando l'individuo vive una condizione di malessere interiore è ad esempio che non ci sono motivi reali per le ansietà o per la sfiducia e abbattimento che prova, per lo stato di tensione implacabile che sta vivendo. Lo sguardo si rivolge subito all'esterno, agli altri, al pensare comune per stabilire ciò che è vivibile, comprensibile e accettabile, espressione di un sano sentire e normale, bocciando subito e mettendo in quarantena ciò che, sofferto e difficile, si sta provando interiormente, bollato come insano, non a norma. Analogamente, mentre lo sguardo ancora va all'esterno a considerare situazioni, circostanze e  fattori concreti per cercare l'origine o il perchè del malessere, il giudizio si avvale di criteri e di parametri comuni per stabilire ciò che può essere influente, compatibile o meno con uno stato di ipotetico benessere. Avere ciò che ai più pare desiderabile e normale, rispecchiarsi nel modo di procedere ritenuto comunemente valido e con tutti gli accessori del presunto e del preteso benessere in regola, sembra condizione sufficiente per pretendere di dettare al proprio sentire risposta consenziente, docile alla attesa che tutto sia a posto. Interiormente, per fortuna, non siamo nè superficiali, nè ottusi, tanto meno gregari rispetto a idee comuni e prevalenti nel pensare e nel valutare ciò che ci riguarda. Il malessere, l'inquietudine interiore sono lo scotto da pagare, sono il riscontro vivo del diverso punto di vista e modo di vedere la propria realtà della propria interiorità, del proprio profondo, di comprendere il presente e il futuro verso cui si è portati dai propri modi di procedere e dal proprio stato di crescita vera o di immaturità,  spesso di sostanziale assenza di capacità di capirsi, di riconoscere il vero, di farsi interpreti fedeli di se stessi. Si insiste nel voler mettere a posto le cose con ogni mezzo ritenuto curativo, con gli psicofarmaci prima di tutto, con psicoterapie direttive, che definirei correttive (le psicoterapie di impronta cognitivo comportamentale, oggi molto diffuse, che vorrebbero mettere a tacere, superare e sostituire i vissuti, le risposte e le esperienze interiori sofferte e disagevoli di cui stiamo parlando, giudicate irragionevoli, per sè dannose, "disfunzionali" con altre giudicate più congrue e  favorevoli ) o con psicoterapie solo in apparenza introspettive e volte alla conoscenza interiore, ma che spingono spesso e dall'inizio nella unica direzione della normale ripresa, dell'individuazione di una qualche causa per far tornare tutto, con qualche aggiustamento, al normale solito assetto. Si vuol tornare (senza che questo appaia rilevante, senza avere chiara consapevolezza delle reali implicazioni) a vivere su basi solite e immutate, date per auspicabili e favorevoli, che sono però spesso di adesione ad altro e di dipendenza da altro, di mancanza di visione propria autonoma e corrispondente a se stessi, di mancanza di capacità di dialogo e di intesa con la propria interiorità. Non si vuole intendere che le cose non sono a posto alla radice, che non lo sono affatto secondo una visione più attenta, approfondita e lungimirante, come quella esercitata e sostenuta dall'inconscio, che non per caso agita interiormente le acque, che non lo sono secondo una visione più onesta e disinteressata, non viziata da voglia di far proseguire le cose senza chiarire in profondità cosa questo significhi e implichi, da docilità e da dipendenza da modi comuni e precostituiti, già confezionati di pensare e di concepire la vita. La parte profonda di se stessi non è né cieca né dispettosa, nemmeno assurdamente intransigente, quel che è vero è che non accetta il sacrificio dell'intelligenza, che non accetta la propria rinuncia a se stessi e a far vivere ciò che si potrebbe, originale, vero, proprio. Il punto critico di rottura è su questo, la cosa "tragica" è che la parte di se stessi, più consapevole e attenta alle proprie esigenze vitali, che vuole dare lo stimolo e la guida al cambiamento, è quella spesso sbrigativamente liquidata come insana, come dannosa, come incapace di stare alla regola del vivere accomodato, illusorio, non compreso alla radice, del vivere senza verità, senza autenticità e pienezza di se stessi, senza possibilità di mettere al mondo il proprio. Non siamo solo ciò che ragioniamo, che facciamo e su cui insistiamo come non ci fosse altro di noi e dentro di noi. Comprendere di essere di più di ciò che ragionamento e volontà sembrano già dare alla propria vita di illusoriamente chiaro, sostanziale e sufficiente, scoprire e toccare con mano che una parte di se stessi, profonda, ha capacità e intenzione di ridare a se stessi il proprio, prima di tutto formando e sviluppando la propria capacità di vedere e di riconoscere il vero, senza distorsioni e veli, è l'occasione offerta da un valido lavoro su se stessi, da una scelta di cura vera, di cura dei propri interessi vitali.

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