Dico
subito che se ogni esperienza che ci appartiene, anche del nostro
passato, è parte integrante della nostra storia, è momento del nostro
cammino, perciò importante, va però saputa riconoscere e
rispettare in ciò che nel suo accadere ha mosso dentro di noi, in
come è stata vissuta, per coglierne il vero significato.
Quanto al fatto che disagi e malesseri attuali siano la automatica e semplice conseguenza
di circostanze ed esperienze negative del passato, soprattutto in
ambito familiare o di veri e propri traumi infantili, più o
meno rimossi, va riconosciuto che questa è ipotesi e spiegazione assai cara a un certo
tipo di psicoanalisi e di pratica psicoterapeutica. Soprattutto
è ipotesi e spiegazione cara a chi vive la propria sofferenza
interiore come carico indebito e ostacolo al vivere quieto o
"normale“, a chi volentieri accetterebbe di scovare nella propria storia da qualche
parte la causa del “male“. Un simile modo di pensare ignora che
ciò che oggi si pone interiormente con vivacità o intransigenza
come segnale di crisi va ascoltato in ciò che dice oggi, che casomai
è riferito a modi d'essere e di procedere inveterati ma attuali, ad
esempio a problemi di lontananza da sè, di mancata unità tra il
proprio pensare e il proprio sentire, a mancata intima rispondenza di
ciò che si porta avanti, più coerente con altro che con se stessi.
Vivere in simbiosi con altro fuori di sé è infatti una modalità d'esistenza assai
diffusa, che fa credere che tutto vada cercato fuori, che la
realtà sia solo quella disegnata là fuori e pensata comunemente. Ne
conseguono l'allineamento e la rincorsa del "normale", l'orrore di non stare al passo con altri, il rifiuto
immediato di accogliere ogni richiamo o freno o intralcio che venga
da dentro. C’è un modo di procedere assai diffuso che è
sostanzialmente passivo e gregario, assai più di quanto non piaccia
credere e ammettere, più regolato da sguardo comune e da autorità
esterna che da proprie autonome scoperte, che costerebbero per essere
raggiunte passaggi interni difficili, che richiederebbero saperli
vivere, patire e capire. Capire se stessi, capire come si procede e
con quali toppe e controtoppe, con quali insufficienze, per dirla
con un eufemismo, di conoscenza di chi si è veramente e che si
potrebbe scoprire ascoltando il proprio sentire, ansie comprese,
senza omissioni e fughe, tutto questo è spesso compito ancora non
svolto. Se stessi è territorio ancora inesplorato, incompreso, mai
coltivato tenendo unito pensare e sentire. Parlo di un lavoro di
conoscenza di se stessi, tutt’altro che inutile o inessenziale, che
è ben altro dal far ragionamenti su di sé, che danno di se stessi
solo una visione parziale e accomodata, spesso ipocrita, oltre che
sterile. Insomma, partendo dalla sofferenza e dalla crisi interiore
aperta e attuale, c’è più da costruire, da creare, da sviluppare di nuovo e
di proprio, che da giustificare in ragione di traumi subiti e
pregressi. Il malessere interiore, la sofferenza nelle sue diverse
espressioni, mai casuali, sempre significative ed eloquenti, se
sapute leggere ed ascoltare e non giudicare come malate e incasellate
nei vari tipi e sottotipi, per farne oggetto di prescrizione
farmacologica e non, è una potente leva o spina nel fianco per
spingere a cercare cambiamenti e trasformazioni, che richiedono un
serio lavoro su se stessi. La tesi del trauma come origine e causa della sofferenza e della crisi è spesso tesi di comodo,
che non sa comprendere che c’è più da costruire il nuovo, che non
c’è mai stato e che non c’è, che trovare una remota causa del
male, che avrebbe impedito il "normale" sviluppo e lo "star bene", reclamati come ovvi e rivendicati come diritto, a prescindere da ciò che ancora non si è dato a se stessi e alla propria crescita vera.
domenica 25 maggio 2014
sabato 24 maggio 2014
Cadute e ricadute
In riferimento a situazioni di crisi e di sofferenza interiore, che si
riaccendono nel tempo, si parla spesso convenzionalmente di cadute e
di ricadute. Si usano non casualmente queste espressioni, perchè di
ciò che si prova, che si sperimenta interiormente, non si comprende
il senso, perchè lì dentro non ci si riconosce, perché lì dentro
si vede solo disordine e danno. Diventano, le si fa diventare per paura e diffidenza, esperienze cieche, verso
cui c'è solo ostilità e pregiudizio, nessun incontro, nessuna intesa. Il
nostro sentire dice, infilandoci in corsi d'esperienza difficili,
dolorosi ci vuol far capire cose di noi e per noi essenziali e utili,
ma la reazione è di considerarlo anomalo, patologico, sbagliato,
solo perchè non ci allieta e non ci dà conferma, solo perchè
diverso. Il nostro sentire siamo noi, è voce nostra, è sensibilità
e intelligenza nostra, è volontà nostra di non tacerci verità
spesso eluse e mai comprese, anche scomode, ma utilissime, è volontà
di trasformare, anche radicalmente, lo stato del nostro pensare e
procedere, è passione di libertà e di unità con noi stessi. Il
nostro sentire ha forza e onestà di smuovere, di rompere la
continuità, di segnalare un'urgenza interiore, di metterci sul chi
va là, di impegnarci in un lavoro alla radice per evitare,
procedendo incuranti, di andare a sbattere in fallimenti. Quando una
vita rimane ad esempio ispirata all'adattamento, alla rincorsa
dell‘approvazione, al fare ciò che fan tutti, al considerare legge
la normalità, quando si fa confusione tra autorealizzazione e
successo secondo tutti, questa vita rischia di fallire, di tradire se
stessa, di non dare frutto, il proprio frutto. Quando si procede coprendo la propria responsabilità di ogni proprio gesto e movimento, camuffandone il senso, puntando il dito contro altro e altri, omettendo verifiche oneste su di sè, accade che il proprio sentire non taccia, ma contrappunti ogni movimento e cerchi di dare segnali impertinenti ma utili e puntuali per capire. Se infine la sofferenza
prende piede non è per nuocere e non è affatto segno di patologia,
è viceversa pungolo e richiamo, spinta potente a prendere coscienza,
a iniziare a fare un lavoro finalmente serio su di sè, a comporre con se stessi
l'unità e la consapevolezza che non ci sono. Siamo fatti non solo di ragionamento e
volontà, siamo fatti di intimo sentire, di esperienza profonda, che
dice, che continuamente dice, che ci dà spunti e pungoli di
conoscenza nelle emozioni e negli stati d'animo, che ci dà guide di
pensiero nei sogni. La maggioranza di noi vive arroccata nella parte
cosiddetta conscia e convive con fatica e spesso con atteggiamento
diffidente e sordo con l'altra parte, intima, del sentire. Costruire
rapporto dialogico e rispettoso con la parte intima è necessità
primaria, in genere sottovalutata, anzi incompresa. Perciò, non
capendo ciò che l'intimo sentire dice e propone, respingendolo e
giudicandolo insano quando dà spinte e proposte difficili o
dolorose, non immediatamente comprensibili, ma non per questo
incomprensibili o insensate, si finisce per squalificarlo come male,
come malattia, come bestia nera da mettere a tacere. Perciò si parla
di cadute e di ricadute. Costruire rapporto col proprio intimo
sentire è possibile, creando ascolto e dialogo, unità dove ora c'è
rottura e incomprensione, diffidenza e paura, paura di se stessi. Con
l'aiuto necessario il cambiamento è possibile.
mercoledì 21 maggio 2014
Spettatore o artefice
La
condizione dello spettatore, che si fa dire e consegnare contenuto e
senso della vita (della propria vita) da ciò che pare già disegnato
e dato là fuori (la cosiddetta realtà), che cerca nella mentalità
comune e nel turbinio di cose, di notizie e offerte varie per sapere/
istruirsi /divertirsi/ realizzarsi le proprie occasioni ed
espressioni, che cerca di segnalarsi agli occhi degli altri come
questa fosse la massima conquista, è la condizione che da molti e in
genere è ritenuta sana, oltre che scontata. Come se vivere fosse
solo usare, imitare, inseguire, dare prova ad altri, lasciando a sè solo parte passiva,
di adeguamento, di rincorsa. In sostanza è proprio in questa
"normalità" che ci si ritrova ad essere spettatori di un
discorso sulla vita, che sembra già scritto e fatto. La propria
interiorità però, in simili condizioni, non di rado non sta quieta.
Sensazioni, anche dolorose ed insistenti, tentano di far presa
sull'individuo, di strapparlo al passivo corso, cercano di fare da
guide per aprire gli occhi, per cominciare a sentire sè, a percepire
la propria condizione, a riconoscere l'incatenamento al dato,
l'adesione automatica, la preminenza dello sguardo e del giudizio
altrui rispetto al proprio. Il proprio intimo sentire sa far cogliere
non di rado quanto si sia divisi da se stessi, quanto si sia precari, inconsistenti
e infelici in quella condizione di gregari, anche se di qualche successo, dietro a un tutto già
definito e dato. Ansietà e timori, smarrimento, esitazioni e
intoppi, scoramento, svuoto di passione vera, di convinzione
profonda, di fiducia fondata, serpeggiano e via via non danno tregua.
L'interiorità a volte fa la voce grossa, la sofferenza si acuisce e segnala come un evidenziatore le aree critiche, la verità che non si vuole vedere. A volte sferra colpi durissimi, come gli attacchi di panico, l'orrore di luoghi affollati, per tagliar le gambe, per farla finita di inseguire automaticamente altro, per cercare di imporre all'attenzione sè e l'intimo e non la gente o la piazza. Se, come spesso accade, queste sensazioni vengono viste
pregiudizialmente come disturbo e impedimento al vivere, se ci
si limita a cercare espedienti per metterle a tacere e per levarsele
di torno, se ci si accontenta dello sfogo e della consolazione di
sapere che anche altri patisce, come si patisse un'affezione, una
malattia, certamente con le proprie sensazioni un rapporto, un
dialogo vero non si aprirà mai. Imparare ad ascoltarsi e a capirsi
attraverso le proprie sensazioni sarebbe la conquista da fare,
scoprendo che finalmente si può diventare protagonisti di una presa
di coscienza, della costruzione di un pensiero proprio, sentito fin
nelle viscere. Per fare delle proprie sensazioni l'occasione per
cominciare ad aprire occhi e per non essere spettatori impotenti di
un discorso sulla vita ( sulla propria vita) già allestito e fatto,
bisogna fare un gran lavoro, essere aiutati a farlo, possibilmente da
chi non abbia in mente solo di dare medicine o consigli toccasana per
rimettere tutto a posto in fretta, per tornare a fare gli spettatori.
E' possibile iniziare a vivere davvero. E' possibile partendo dalla
crisi, non scrollandosela di dosso, ma prendendola sul serio, procurarsi seria
occasione per costruire e dare forma a quello che nella normalità
non c'è, a se stessi, a ciò che fa la differenza tra l'essere
spettatori e l'essere davvero artefici del proprio cammino, protagonisti della propria vita.
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