Quante volte capita di sentire esaltato il valore della
leggerezza con riferimento a una condizione interiore che, libera da
appesantimenti, permetta di transitare e stare nell'esperienza con animo
leggero e sereno! Qualche valido motivo può averlo il desiderio di leggerezza
quando si è in presenza di modi di trattare l'esperienza, che, facendo leva sul
pensiero razionale, non fanno che mettere assieme combinazioni e incastri di
idee, tanto complicate quanto sterili, in nulla fondate sul vivo e lontanissime
da una relazione stretta col sentire. In altri casi un modo lagnoso e
vittimistico di trattare le proprie vicissitudini fa sì che tutto all'esterno
diventi bersaglio e oggetto di critica e di commento acre, cacciando il
negativo sempre fuori, caricando ogni responsabilità su altro e su altri. Il
fardello per un interlocutore, che sia chiamato a ascoltare simili lagne e
elaborazioni, è allora davvero pesante e diventa di assai dubbio interesse
ascoltare un pensiero così compattato e chiuso a ogni presa di coscienza che
coinvolga chi si considera solo vittima. Lo stesso soggetto e artefice di un
simile modo di trattare la propria esperienza all'insegna della recriminazione
continua, può avvertire lo stato asfittico e il clima pesante in cui si
costringe a respirare. Togliere e liberarsi del peso del ragionare
spiantato, che complica sterilmente il pensiero e la visione, del recriminare,
che rigira all'esterno ogni critica e pretesa e che inibisce e cristallizza
ogni possibile nuova scoperta e processo di crescita personale, è certamente
auspicabile. Per fare posto a che? A assenza di pensieri e di lavoro di
ricerca? Se tutto muove con spontaneità da dentro, dall'intimo di se stessi, se
la consegna è interiore, scaricarla per ottenere, in nome della leggerezza,
animo sgombro, significa compiere una forzatura, evadere da se stessi. Una cosa
è alleggerirsi degli inutili arzigogoli del ragionamento, dei crucci lagnosi,
altra cosa è rendersi leggeri e svincolati da consegne interiori che chiedono
di avvicinare ciò che è necessario per non rimanere ignari e sospesi per aria,
senza le risposte che è importante trovare, privi, digiuni della consapevolezza
necessaria, alleggeriti del bagaglio utile e delle guide valide per procedere a
modo proprio, per dire la propria. Se c'è impegno e lavoro da assumere e da
svolgere per ascoltarsi e per capirsi, per trovare sintonia con la propria
interiorità, per ascoltare e per fare proprio ciò che il proprio sentire sta
proponendo, ben vengano questi “pesi”, possono fornire gli strumenti necessari
per non ritrovarsi, sì alleggeriti di preoccupazioni e di pensieri, ma anche in
balia di un procedere senza guida e senza rotta, anonimo e inconcludente. La
leggerezza, che, promettendo per sè lo stato ideale, esige di essere
sgombri da carichi di ricerca e liberi dal vincolo a trovare accordo con se
stessi e risposte sintone col proprio sentire, non può che consegnare se stessi
alla passiva adesione a modelli già pronti, al procedere accodati e accordati
con ciò che è prevalente e ben assestato nel pensato e nell'esempio
comune. Ciò che non si crea, che non si genera da sè non può che essere
fatalmente e malamente compensato e sostituito da pensiero, da idee, da
attribuzioni di significato e di valore presi in prestito, assorbiti dall'ambiente,
rimasticati soltanto, anche se con l'illusione di essere pensati in proprio. La
leggerezza che, togliendo giustamente ogni inutile zavorra, non sia ricerca di
accordo e di fecondo scambio con se stessi, con la propria interiorità, col
proprio sentire, che viceversa rivendichi solo uno stato di spensieratezza e di
svincolo da richiami interiori, rischia di produrre solo un vuoto di crescita e
di autonomia.
domenica 16 maggio 2021
La leggerezza
sabato 1 maggio 2021
La responsabilità della cura
C’è un rischio di incuranza nella cura.
L’incomprensione del significato dell’esperienza interiore, particolarmente
quando questa assume caratteristiche ostiche, difficili, dolorose, complicate e
inaspettate, il ricorso immediato all’impiego di categorie come normale o no,
sano o malato, per sentenziarne e deciderne subito, senza ombra di dubbi, la
qualità, il significato e il destino, può gettare le basi di una cura, che, pur
con le dichiarate migliori intenzioni, rischia di tradursi nel suo contrario. Il
nostro essere non è un insieme omogeneo. Nelle parti della nostra psiche che
non sono regolate da controllo, da intenzionalità e guida razionale, nelle
nostre emozioni, stati d’animo, spinte interiori, trova espressione e segnala
la sua presenza una componente di noi affatto insignificante. Ciò che spesso
crea problema è la dissonanza tra quanto pensiamo, giudichiamo utile, valido e
desiderabile e quanto intimamente sentiamo, che casomai contrasta, non
asseconda, non dà manforte e anzi sembra indebolire, intralciare la compattezza
dell’agire, la sua linearità ed efficacia. L’idea che ci sia una parte,
definita irrazionale, del proprio essere, che non sa stare nei ranghi, che non
sa capire l’utilità o la necessità del proposito, sembra spiegare e chiudere il
discorso su questa discordanza tra pensiero e volontà da una parte e sentire
dall'altra. La componente del sentire e di quanto si muove nello spazio
interiore è definita irrazionale con un particolare accento, intendendo spesso
con questo, non già che abbia (sempre e comunque) capacità di dire con un
linguaggio e con modalità diverse da quelle del pensiero razionale, ma non per
questo non valide, non sensate, non affidabili, bensì che sia un'espressione
(particolarmente se dissona e non accontenta le attese e le previsioni della
parte cosiddetta conscia e razionale) poco o affatto lucida e attenta,
capricciosa, debole, scomposta, dettata da ragioni un po’ infantili, in balia
di paure di troppo, di tentazioni di fuga o di ricerca d’altro, indisciplinata
alla regola del puntare sullo scopo utile e vantaggioso, conveniente e dovuto. In
una simile impostazione, tutt’altro che rara, sono date per certe e
indiscutibili la supremazia e miglior affidabilità della guida e del controllo
razionale. Con un atteggiamento di superiorità della parte razionale così
marcato e con una sua predisposizione negativa così intransigente e in apparenza
motivata e convincente verso tutto ciò che non le è docile e omogeneo, la sorte
che spetta alla componente interiore, quando avanza, non casualmente e non
senza fondamento, una proposta disagevole e dolorosa, è di essere combattuta e
resa oggetto, nel nome della cura, di pretese di normalizzazione, vuoi con i
farmaci, chiamati possibilmente a togliere, zittire e rovesciare il quadro
interiore, rendendolo non disturbante e conciliante, vuoi con psicoterapie
direttive, in cui qualcuno detta il come del raddrizzamento e della
normalizzazione, cercando di correggere, di abbattere paure o altro giudicato
spazzatura, impedimento o distorto (disfunzionale nel gergo tecnico) modo di
reagire e di pensare. Manipolazioni tutte suggerite come fossero valido e
scontato prendersi cura di sé, ovvio andare verso il benessere. Nel sentire,
nelle paure, nella complessa e difficile esperienza interiore, da subito
distanziata da sé come minaccia, da subito trattata con sospetto e pregiudizio,
c’è in realtà la guida fedele e saggia per ritrovarsi, per cominciare a calarsi
con sguardo attento e intelligente, profondo e onesto dentro la propria vita,
dentro i propri nodi da chiarire e sciogliere. L’interiorità non semplifica e
non chiude gli occhi, dice e svela, dà il supporto per vedere e per
comprendere, per compiere l’operazione nuova e inedita del capire se stessi,
senza omissioni. I vincoli e i supporti su cui poggia la propria vita, il
proprio modo di esistere trovano nel sentire complicato, penoso, pungente o
afflittivo, modo di evidenziarsi. Sarebbe segno di maturità dell’individuo, che
voglia rendersi consapevole, libero e responsabile verso se stesso, guardare
dentro il proprio modo di procedere, ciò che sta facendo di sé. L’interiorità
vuole questo, vuole dare stimolo e supporto a una visione consapevole. La
crisi, il disagio interiore sono e racchiudono questa intenzione, non altro. Se
l'individuo non ha dimestichezza con l'esperienza interiore, l'aiuto che gli
serve è di essere sostenuto e accompagnato nell'avvicinamento a sè, imparando,
anzichè a fuggire o a scaricare, a reggere la tensione di esperienze interiori
sofferte per capire cosa gli stanno comunicando. Ciò che gli serve è di essere
aiutato ad acquisire e a sviluppare capacità di ascolto, di sguardo riflessivo
per vedere ciò che la sua interiorità gli sta svelando nel sentire, per
comprendere ciò dentro cui, anche nei percorsi interiori più accidentati,
l'intima esperienza lo sta calando, per comprenderne il senso, per farne sue
tutte le occasioni di crescita. Il fatto che la richiesta iniziale di chi cerca
aiuto sia di superare, di venir fuori dall'esperienza interiore dolorosa, non
implica che assecondare, che provare a soddisfare la pretesa di metterla a
tacere e di ricondurla a norma sia sensato e favorevole all'interesse di chi è
coinvolto da intima sofferenza. L’interiorità peraltro, malgrado si tenti di
manipolarla e di metterla in riga, non si fa zittire, non cede alla pretesa di
togliere di mezzo ogni intralcio al tirar dritto, consapevole com'è che tirare
dritto con un bagaglio zero di conoscenza vera di se stessi e dei propri vuoti
di crescita, autentica e non di facciata, da colmare non è certo buona sorte e
accettabile. E’ irresponsabile rivolgersi all’interiorità come fosse deficiente,
come fosse un meccanismo da raddrizzare e da correggere, senza capire ciò di
cui, intelligentemente e saggiamente, è promotrice e portatrice. E’
irresponsabile da parte del diretto interessato e non è certo espressione di
buona cura di se stesso, agirle contro e ancor di più è una scelta carica di
responsabilità per chi si proponga come curante l'assecondare e promuovere un
simile atteggiamento e intervento sull'interiorità, senza capire nulla del
linguaggio interiore e di ciò che la sofferenza interiore vuole aprire e
favorire. Nel tempo tutto ciò che si è fatto per zittire o per tenere sotto
controllo l’esperienza interiore, si tradurrà per l'individuo nell'aver perso
l’occasione del proprio ritrovarsi e crescere, del mettersi in mano la vita, la
propria vita. Ci sono storie di individui che per anni e anni si impasticcano
di ansiolitici o di antidepressivi pur di mettere a tacere e combattere ciò che
ai loro occhi e con complicità di non pochi curanti è intesa e fatta vivere
come una minaccia, un disturbo, una patologia. Triste destino di combattere
come nemica e di amputarsi della parte di sè, che, se compresa e resa anima e
veicolo di presa di coscienza, saprebbe liberare se stessi e la propria vita
dall’inutilità e dal fallimento. Parlo, senza mezzi termini, di fallimento
pensando a una vita che non ha visto l’individuo ritrovarsi unito e in sintonia
con se stesso, carico finalmente di consapevolezza dei propri veri mezzi e
scopi. Se si mette mano al mondo interiore, parte preziosa e fondamentale della
vita di un individuo, è necessario sapere cosa si sta facendo. Ci sono ad
esempio oggi molti giovani, anche se la riflessione svolta sin qui non è certo
limitata a loro, che da dentro se stessi ricevono, attraverso segnali di crisi
e di sofferenza interiore, sollecitazioni a avvicinarsi a sé, per prepararsi a
compiere il cammino della vita non in modo passivo e sprovvisti di guida
interna. Con questo intento il disagio interiore bussa presto alla loro porta.
E’ in gioco qualcosa di importante, il destino di questi giovani, la loro
possibile intesa e unità con se stessi, la crescita interiore, personale di cui
hanno necessità e che non è certo già risolta. Spesso soli in ciò che
internamente vivono e lontani ancora da sé, trovano nel loro malessere interiore
la spia e la richiesta di calarsi in intimità con se stessi, di conoscersi, di
capirsi, per non essere, anche in vista di scelte future decisive, in balia di
un procedere a rimorchio dei più e di ciò che è prevalente, che rischia di
essere tale. Se la risposta non è l'aiuto ad avvicinarsi a se stessi e ad
ascoltarsi, a scoprire e a valorizzare la loro interiorità, a trovare dentro e
attraverso il loro sentire chiarimenti fondamentali e necessari, ma sono
farmaci spazza via o tentativi di aggiustamento e di normalizzazione, come se
le loro paure fossero insensate oppure frutto di cattivi adattamenti o
conseguenza automatica di sfavorevoli condizionamenti esterni, il rischio di
lasciarli di nuovo soli e privi di guida interna è forte oltre che grave, anzi
è fatale.