Spesso, in presenza di esperienze interiori
affatto piacevoli, ad esempio di ansietà continua o quando esposti alle bordate
degli attacchi di panico, oppure quando tenuti sotto da un senso di sfiducia e
di infelicità, da un senso di vuoto, ci si dice e ci si sente dire che non c'è
motivo reale per simili stati interiori, che quei vissuti fanno sperimentare e
coloriscono l'esperienza in modo abnorme, alterato da una patologia da curare.
C'è un modo di pensare che al riguardo si irrigidisce e si fa forte di pensieri
comuni, così come di teorie e di tesi, di studi definiti scientifici. C'è un
equivoco circa ciò che sarebbe reale. Reale non equivale a concreto. Concreto è
solo un ordine di ragioni e di cose visibili e ben riconosciute già e
comunemente. Reale può essere ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che
casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e
non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se
stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere
felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere mistificato,
travisato, ritenuto normale e scontato, valido solo perché simile e copia di
ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Profondamente
però siamo dotati di capacità di sguardo che non cede all'illusione e alla
mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffra la nostra identità vera
e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo
incastrati nel pensiero e nello stile di vita suggeriti e impartiti dalla
cosiddetta normalità. Se il nostro profondo volesse darci uno scossone e
imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di prendere visione della
nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire
il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci
a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, sarebbe così
assurdo e anomalo se ci desse interiormente forte segnale di apprensione e di
allarme, persino di panico? Se la parte profonda del nostro essere volesse
indurci a vedere, al di là della superficie di adeguatezza ai criteri di
normalità comuni, il vuoto di vera autorealizzazione, non per sconfortarci e
basta, ma per indurci a formare senza rinvii ciò che ancora ci manca e che non
abbiamo coltivato, il nostro pensiero originale e non modellato su altro preso
in prestito, se volesse spingerci a compiere le conquiste di consapevolezza
che, indispensabili per decidere di noi stessi e per procedere autonomamente,
sinora non abbiamo né cercato, né realizzato, sarebbe così assurdo e
incomprensibile se ci precipitasse a sperimentare nell'intimo e senza
possibilità di evaderne un senso di disvalore e di vuoto? Sarebbe motivata
questa presa di posizione o sarebbe senza reale motivo e senso? Concreto è
una cosa, reale è un'altra.
domenica 28 febbraio 2021
Il concreto e il reale
giovedì 25 febbraio 2021
Il lavorio interiore e la ricerca del vero
Porsi domande per avere visione chiara e sincera di ciò che si sta facendo, della propria condizione, non limitarsi a difendere a spada tratta le ragioni solite a protezione e a convalida di ciò che si è sempre pensato e portato avanti, può risultare molto scomodo e mettere in difficoltà, può dare un senso di insicurezza, di disorientamento, di rischio. Raramente si è inclini a porsi e a tenere aperte domande circa ciò che fa proseguire in una situazione, che fa stare dentro un legame, a interrogarne la vera natura e i veri perchè, senza occultamenti di comodo. Più spesso si è così preoccupati di dare continuità alle cose da non volerne sapere di accogliere dubbi e domande, da preferire di volgere lo sguardo altrove o di costruire spiegazioni utili solo a confermare o a blindare ciò che si teme di mettere in crisi. In quest'ultimo caso, può accadere, non di rado, che non tutto di se stessi sia concorde con questo atteggiamento, diciamo, conservativo e che interiormente il quadro permanga instabile e inquieto. Ci può essere infatti una parte di sè, intima e profonda, che non vuole ignorare e lasciar cadere le domande, che vuole aprire gli occhi e spingere a farlo, che privilegia la ricerca del vero su ogni altro interesse. La ricerca del vero può risultare scomoda e soprattutto all'inizio può essere fortemente temuta, ma sicuramente la scoperta del vero, che non può compiersi in un istante o magicamente, ma solo attraverso un ascolto e un dialogo approfondito con la propria interiorità, fornisce nuova linfa, apre nuovi scenari, forma nuove intese con se stessi, nuove basi di consapevolezza capaci di dare la forza, il convincimento e la passione di rinnovare le proprie scelte, di trasformarle in concordanza piena con se stessi, a volte di mutarle radicalmente. Tenersi vincolati all'esistente e al modo consueto di pensare (o non pensare), che appoggia e accompagna il corso solito dell'esperienza, solo per paura della crisi, del cambiamento, rischia di far aderire a scelte, malamente fondate, poco o nulla corrispondenti ai propri interessi più profondi, di consegnare se stessi a prospettive e a sviluppi nella propria vita tutt'altro che felici. E' forte e diffusa la convinzione che tutto vada cercato fuori, occasioni, presenze vive e interlocutori, ma dentro i confini del nostro essere non siamo affatto soli e senza risorse. Portiamo dentro di noi una presenza viva, interiore, profonda, che, per come si esprime e incide nella nostra esperienza, sembra talora procurare in apparenza soltanto fastidi, ma che, se compresa, si rivela essere parte importantissima di noi stessi, tutt'altro che debole, incapace o nociva. E' la parte del nostro essere che non cede al ricatto della paura del cambiamento, del rischio della messa in discussione del quieto vivere, del mantenimento dell'ordine mentale consueto. E' il nostro inconscio, che sa e che vuole offrirci una guida, dandoci, attraverso il sentire e in modo magistrale con i sogni, richiami, stimoli e dritte di riflessione preziosi e introvabili altrove, affidabili come nient'altro, capaci di condurci alla verità di noi stessi, al riconoscimento dei nodi decisivi da sciogliere, su cui lavorare, alla scoperta di nuovi possibili percorsi a noi congeniali, consentendoci di liberare e di esaltare le nostre potenzialità originali. L'inquietudine interiore risulta spesso sgradita, addirittura può essere liquidata come un modo difettoso di sentire e di vivere, come uno stato interiore negativo, convinti che idealmente si debba stare sempre liberi da tensioni, saldi nell'abituale, tranquilli. Dentro ciò che si sente c'è in realtà un fermento di ricerca, un lavorio interiore che non cede alla pretesa del quieto vivere, che contrasta la tendenza alla rinuncia, all'acquiescenza. C'è la spinta a promuovere e a dare sviluppo, senza paura dei costi di impegno, anche di sofferenza, di dispendio di sè, alla presa di coscienza, necessaria per non essere privi di punti di riferimento validi e fondati, per dotarsi di guide autonome e assolutamente necessarie, per non lasciare che a raccontarla, a colmare lo spazio del pensiero, siano altre fonti ritenute capaci e competenti, che a dare le dritte sia altro, che si trova già concepito fuori di sè, cui spesso si cede il passo, da cui si finisce per farsi dettare la lettura dell'esperienza, le attribuzioni di significato, i suggerimenti circa ciò che è possibile e realizzabile, valido e conveniente, normale. Tutto il discorso corrente, prevalente, sull'ansia e sulle diverse espressioni del disagio interiore, trattate come disturbi o patologie, come conseguenza d'altro che da fuori molesterebbe o non concederebbe il dovuto, rischia di travisare e di non riconoscere che siamo creature complesse, che c'è una parte intima di noi stessi che non rinuncia a farsi sentire, a agitare le acque, a darci segnali tutt'altro che privi di senso. E' una parte del nostro essere che può non concordare con i nostri atteggiamenti e intendimenti, che vuole comunque condurci a aprire gli occhi, a far prevalere l'interesse per la verità, la passione per la realizzazione autentica di noi stessi sulla pretesa, immediatamente più confortevole e rassicurante, di mantenere tutto fermo, stabile e intatto.
giovedì 11 febbraio 2021
L'intento dei sogni
Non è raro che un sogno tocchi particolarmente la
sensibiltà dell'individuo e lasci in lui una traccia, un seguito, capace di
influenzarne l'umore, la giornata. Che vogliano incidere è nelle intenzioni dei
sogni, di tutti i sogni, anche di quelli che non hanno così forte impatto. C'è
in ogni caso volontà di coinvolgere, di persistere, di ottenere ascolto.
Incidere davvero richiederebbe però che i sogni siano compresi e acquisiti in
ciò che intendono comunicare e dire, cosa non facile, poco probabile purtroppo
per come vengono abitualmente intesi e letti. I sogni non sono fantasie, non
sono desideri inappagati, sono pensiero, di cui l'inconscio è capace,
acutissimo e calzante, ben adatto a descrivere la situazione interiore di chi
sogna, a porgli questioni di capitale importanza. Se si leggono i sogni in
chiave concreta non li si comprende affatto. I sogni usano il linguaggio
simbolico. Ad esempio la presenza nel sogno di una persona vale a indicare ciò
che caratterizza questa persona agli occhi del sognatore, una modalità, un
atteggiamento, un'espressione della personalità, che in quella persona è più
marcato e più facilmente riconoscibile. L'inconscio però non vuole parlare
della persona là fuori, ma, inserendo la sua presenza nel sogno, vuole dare
volto, illuminare una modalità, un aspetto della personalità del sognatore. Per
intero in tutti i suoi componenti, siano persone, animali, luoghi o cose, il
sogno descrive simbolicamente parti vive del sognatore. I sogni non sono
affatto caotici, non sono un insieme sparso e casuale di frammenti di ricordi,
di fatti della giornata che ritornano e che l'inconscio registra e
rilancia passivamente, non sono affatto fantasiosi, sono elaborazioni di
pensiero estremamente attento, affatto vago e buttato lì in modo sparso e
disordinato. Il pensiero che l'inconscio vuole comunicare e guidare a formare
attraverso il sogno è lucidissimo e di estrema precisione, nulla è inserito nel
sogno, fin nei più minuti particolari, per caso. Tutto organicamente
all'interno di un sogno compone un pensiero, un significato, che certamente non
è di immediata comprensione e riconoscibile con la presa razionale, perchè non
è omogeneo e parte di ciò che il sognatore è abituato a pensare. Il sogno ha
capacità, se inteso fedelmente e compreso, di aprirgli gli occhi in modo nuovo,
non condizionato da preconcetti e da interessi che non siano di riconoscere il
vero. Il sogno non arriva mai per caso, non arriva sotto la spinta e l'urgenza
di un movente esterno, di un accadimento, di una causa capace dall’esterno di
determinarlo. Il respiro e l'orizzonte del sogno vanno ben oltre l’incidenza
dei fatti quotidiani, semmai l'inconscio sa valorizzare momenti
dell'esperienza, che sa richiamare nel sogno, per ciò che sanno rivelare di se
stessi, inserendoli dentro una trama di riflessione e di pensiero che vanno ben
oltre. Non c'è sogno che non sia capace di dare risalto a ciò che è importante
e decisivo da riconoscere per il sognatore, che non sappia porre al centro la
riflessione su se stesso, l'individuazione dei nodi fondamentali da chiarire e
da sciogliere. Non c'è nulla di più vero, reale e rispondente alle necessità di
presa di coscienza e di crescita di un individuo, dei suoi sogni in ciò che
vogliono rendergli riconoscibile di se stesso, nelle questioni che vanno a
rischiarare. I sogni fatti di seguito nel tempo sono tutti interconnessi, non
c'è un susseguirsi di sogni casuale, c'è un filo che li lega, c'è uno sviluppo
di ricerca che li vede uniti e in consonanza tra loro. I sogni, in concordanza
con tutto ciò che si svolge interiormente sul terreno del sentire, di entrambi
è ispiratore l’inconscio, contribuiscono in modo decisivo a chiarire le ragioni
e il senso del malessere interiore, della crisi che ha investito l’individuo, a
farne comprendere e a promuoverne lo scopo. Il percorso di avvicinamento a se
stessi, di scoperta e di conoscenza di se stessi, di presa di visione del vero,
di profonda trasformazione che ne deriva, come accade nel corso dell'esperienza
analitica, è indirizzato, alimentato con grande maestria e saggezza dai sogni, che
esercitano un ruolo guida fondamentale e imprescindibile. Non ci sono sogni
negativi o brutti, che, al di là dell’apparenza, se compresi, si rivelino tali,
anzi incubi e sogni cosiddetti brutti hanno un alto potenziale comunicativo,
racchiudono una capacità di illuminare, di dare consapevolezza, senza nulla
tacere o addomesticare per comodo nella ricerca del vero, che non ha eguali,
perciò, se intesi e fatti propri nel loro autentico significato, sono prezioso
alimento per la propria crescita.
martedì 2 febbraio 2021
La sofferenza interiore
Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni
fa, con qualche integrazione. Accade
spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si
rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per
certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La
richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la
condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile
e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e
"positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto
allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata
ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata
e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in
una categoria diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia,
panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale,
che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice,
cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione,
una patologia. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che
l'individuo teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non
importa quale (dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di
provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci) pur di ingabbiarla e di
liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che
altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come
guasto o cosa rotta si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi
dall'essere un'anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce,
è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con
travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se
attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro
che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per
capirsi. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle
sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutato a confrontarsi e
a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio
vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per
l'individuo. Questa per lui la vera "cura". Solo questo incontro col
proprio sentire, accolto senza preclusioni in tutte le sue espressioni e non
l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinarlo a sè e fargli
superare la frattura che lo divide da se stesso, può sanare la dissociazione,
il disaccordo tra il suo pensato e ciò che vive interiormente. Solo la
conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può
renderlo consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge,
che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può,
che non vuole essere ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse
disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente
spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di
se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in
modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è
nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato
sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o
più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di
essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo
tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel
proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso
ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda
e vitale necessità di trasformare, di far nascere e vivere, di costruire. Per
l'individuo investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in
ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che
perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura,
nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente
gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta dell'individuo alla sofferenza
interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con
l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabiltà e la nocività di
ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di
un sentire sofferto, prima di tutto vada cercato e in fretta il rimedio
rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza
interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e
confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio
a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso,
insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea
comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col
sentire, con le esperienze interiori è spesso mancante nell'individuo o è
presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che
vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le esperienze, le vicende
interiori con lo strumento del ragionamento che presume di essere lucido e
affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e
riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che
difendere, più di quanto l'individuo sia disposto ad ammettere, personali
interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di
attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa
modalità di pensiero l'individuo tratta ciò che gli accade interiormente
come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e
voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il
malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione
del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della
lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il
cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata.
L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi
velocemente fuori dal malessere interiore, spinge molti a sviluppare tesi circa
l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui
si sarebbe vittime, causata da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella
propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce
sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il
malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti,
di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato
segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale,
la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò
che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a
capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi
decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi,
del proprio modo di procedere, per promuoverne trasformazioni importanti, utili e
necessarie, ma diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere conseguenza
negativa d'altro, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche
parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si
finirà pur per trovare nella biografia personale. L'esperienza interiore viva è
resa in questo modo muta, al sentire attuale non è concessa parola, sul
loro conto si impone un discorso e un'indagine utili solo a tentare di liberare
il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si
compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza
interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume,
ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo
sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con
l'esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di
crescita dell'individuo, è sempre stata in primo piano la ricerca
dell'adattamento alle circostanze esterne e la vita interiore è stata
considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco
di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che
assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i
propositi di riuscita così come intesa e celebrata dal senso comune.
Condizionato dalla sua incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto
rispettoso con la sua esperienza interiore, di intendere e di capire il
significato originale, intimo e vero, dei suoi stati d'animo e del suo sentire,
nel frangente difficile l'individuo è disarmato di fronte alla crisi e al
malessere interiore da cui è investito. Reagisce con sospetto e con paura,
concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione
da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi
intralci. Privo della capacità di intendersi con se stesso, di entrare in
sintonia con la sua interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo
scopo di ciò che il suo sentire gli sta comunicando con tanta forza e
intensità, l'individuo si chiude difensivamente e si preclude la scoperta di
ciò che affidabile, utile e prezioso la sua interiorità ha intenzione e
capacità di proporgli. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore,
purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti
non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per
provare a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause
che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare
incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della
propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o
inutilmente.