domenica 31 marzo 2019

Malessere senza reali motivi?

Un argomento tutt'altro che infrequente quando si vive una condizione di sofferenza interiore, argomento sostenuto dal diretto interessato o da chi gli sta attorno, è che non ci sono motivi reali e concreti per il malessere che si prova, per quell'ansietà così esasperata e insistente o per quel senso di infelicità e per la perdita di stima e di fiducia in se stessi, solo per fare degli esempi. Lo sguardo punta al fuori, a indagare e a valutare situazioni, circostanze esterne, la verifica utilizza criteri e parametri comuni e soliti per stabilire il grado di soddisfazione o di benessere presunti, che si ritiene debbano conseguire a quelle situazioni concrete. Reale però non equivale a concreto. Concreto è solo un ordine di ragioni e di cose visibili e già ben riconosciute e comunemente. Reale e di peso non secondario può essere anche ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere travisato, ritenendolo normale e scontato, solo perché simile e copia di ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Nel nostro profondo però siamo dotati di una capacità di sguardo, quella del nostro inconscio, che non cede all'illusione e alla mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffrono la nostra identità vera e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo aderenti e affidati nel pensiero e nello stile di vita a quanto suggerito e impartito dalla cosiddetta normalità, confortati da questo affidamento e nello stesso tempo illusi di essere in qualche misura artefici della nostra vita e realizzati, l'inconscio sa riconoscere lo stato vero delle cose e ammettere l'inconsistenza di un modo di vivere che ancora non racchiude nulla di compreso veramente di noi stessi, nulla di scoperto, di generato da noi. Se la parte profonda di noi stessi volesse darci uno scossone e imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di vedere la nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci prima di tutto a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, iniziando a preoccuparci seriamente di formare ciò che manca non per apparire normali, ma per far vivere noi stessi e il nostro, è comprensibile che possa intervenire muovendo in noi con forza una esperienza di malessere interiore, fatta di insicurezza e paura insistite, anche esasperate, di senso di infelicità e di vuoto? Sarebbe realmente motivata questa presa di posizione o sarebbe senza motivo e senso? Quando si giudicano immotivate, assurde o semplicemente dannose esperienze interiori come quelle catalogate ad esempio come ansia o attacchi di panico, come depressione o altro, bisognerebbe andarci cauti. Può esserci motivo valido e fondamento reale per simili esperienze interiori pur spigolose e difficili, pur dolorose o estreme. Abbiamo un profondo (tutta l’esperienza interiore che viviamo che va oltre ragionamento e volontà, cioè emozioni stati d’animo, pulsioni, sogni, è di matrice profonda) che sa vedere e che non vuole tacere, che vuole segnalarci il vero senza sconti per aprire una crisi certamente impegnativa, ma necessaria, utilissima se ben interpretata come occasione di profonda trasformazione e di crescita. Comunque ciò che sentiamo, pur brusco, spiacevole o incalzante o sconquassante, vuole che ci guardiamo in faccia e ben dentro e profondamente, senza tirare avanti inconsapevoli o con una visione di noi stessi approssimativa e vaga, peggio ancora ipocrita o inventata. Ne va della nostra sorte. Se è a rischio la realizzazione della nostra vita fedelmente a noi stessi, se ancora ci manca tutto per essere davvero soggetti consapevoli, se siamo più in sintonia e in accordo con altri che con noi stessi, più adesi ad altro che vicini a noi stessi, dissociati e discordanti tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo e diciamo, il nostro profondo può darci segnali forti, può col malessere metterci alle corde e esercitare su di noi fortissimi richiami. Dunque se anche i motivi della sofferenza interiore non sono di ordine concreto e facilmente identificabili, se anche non sono esterni ma interni a noi, ciò nondimeno esistono e sono reali, realissimi. 

sabato 30 marzo 2019

Conoscere se stessi

Come arrivare alla conoscenza di se stessi? Il corso dell’esperienza interiore, il proprio sentire sono la guida più sicura per capire se stessi, il terreno su cui poggiare, la traccia da seguire. Nel sentire prende volto e vuole rendersi riconoscibile la verità di noi stessi, il nostro sentire acuisce, evidenzia, sottolinea, ci fa toccare con mano ciò che vive in noi e che ci muove nelle nostre scelte, nelle nostre risposte, ci fa riconoscere ciò che, al di là delle apparenze, ci sta accadendo, i nodi e le questioni scottanti dentro cui rispecchiarci e con cui confrontarci, per una conoscenza di noi stessi non astratta, ma fondata e vera. E' idea comune che le emozioni e tutti i moti e stati interiori, che il sentire sia una componente da trattare con riserva, da tenere sotto tutela, che, definita irrazionale, sia per ciò stesso niente affatto affidabile come guida, come fondamento per capire, perchè soggetta a eccessi, a parzialità a intemperanze. Si dà viceversa in genere fiducia prevalente e indiscussa alla componente razionale, considerata capace di dare visione lucida e obiettiva, non in balia di capricciose, viscerali e miopi istanze. In realtà, se isolati in questa funzione razionale, non si può che rimanere confinati in un pensiero, che, a un attento esame e ben diversamente dalle aspettative, si rivela spesso tutt'altro che libero da limiti e parzialità, da distorsioni e capricci. Quando ci si occupa di se stessi si ama infatti rappresentarsi in ciò che pregiudizialmente si ritiene consono e adeguato all'immagine che si ha cara di se stessi, con fatica si accolgono verità scomode, con frequenza nel percorso di pensiero ragionato si omette, anche se in modo velato, ciò che scombina o che smentisce le proprie convinzioni, che delude le proprie attese e previsioni. In ciò che passo dopo passo, cogliendoci spesso di sorpresa, prende forma nel nostro corso interiore, in ciò che sentiamo, che si muove dentro di noi, c’è invece la testimonianza più sincera, il continuo stimolo, acuto e intelligente, a aprire gli occhi, a guardare dentro di noi, a non trascurare parti essenziali. La prospettiva da cui e entro cui si muove il profondo, che è la parte di noi che muove e che plasma il nostro corso interiore, il succedersi di tutto ciò che sentiamo e che, fuori dal controllo di volontà e ragione, accade dentro di noi, è ben diversa da quella della nostra parte cosciente. L'inconscio, libero dal vincolo di essergli compiacente e di dargli conferma, è interessato a garantire all'individuo l'accesso al vero e a una visione ben più aperta e lungimirante di quella che in superficie lo sguardo e il pensiero cosciente sanno offrirgli, spesso vincolati al bisogno di tenere compatta e ben difesa col ragionamento l’idea di se stesso che gli è gradita, di proseguire e di far persistere ciò che gli è usuale, in conformità e dentro i limiti di ciò che comunemente è considerato normale, degno e possibile. Si soffre, pur non patendolo e non riconoscendolo come problema, anzi a volte con l'illusione di disporre di chissà quale libertà e ampiezza di idee, di appiattimento della visione, di univocità del pensiero, come se altro non fosse possibile, concepibile e da salvare se non ciò che è nel solco di ciò che già si sa, dentro cui da tempo si è incanalati. E' comprensibile che, ignorando le proprie risorse interiori, inconsapevole e incurante di vedere la vera natura le ragioni del proprio modo di procedere, spesso, anche se coperto da illusioni circa il suo valore, senza radice dentro se stesso, dove il pensiero e l’intenzione, persino i progetti sono desunti da ipotesi e da modelli preconfezionati, riprodotti pari pari o in qualche misura riplasmati, l'individuo si disperi se interiormente, per iniziativa del profondo, che sa vedere oltre le apparenze, gli si aprono crepe, discontinuità o se si impongono veri e propri intralci. Dando tutto per già compreso e acquisito di se stesso, l'individuo si oppone come a una minaccia e a un fastidio a tutto ciò che interiormente non gira per il verso voluto e considerato valido e conveniente, non si dà disponibilità di ascolto, concentra viceversa il suo interesse sul proseguire linearmente, spesso avendo come aspirazione più forte quella di dare prova di capacità di riuscita, di merito. Verso se stesso la pretesa e l'attesa prevalenti sono di tirar fuori da sè argomenti e abilità da mostrare e dimostrare, come se nient'altro contasse. Come se tutto dovesse di sè concordare con i propositi di efficienza e di riuscita, dare espressione e dare prova sono la principale attesa rivolta a se stessi, perchè la buona riuscita da dimostrare è l'unica o la più forte sorgente di entusiasmo e di autostima da inseguire, da non compromettere. Il profondo dell'individuo, depositario delle personali e originali ragioni di vita e potenzialità, con la consapevolezza di ciò che l'individuo coerentemente con se stesso potrebbe concepire, generare, far vivere, dare al mondo e dire, non ci sta a una simile misera resa della propria esistenza, dove allinearsi e farsi apprezzare e benedire, farsi confermare in ciò che allo sguardo dei più pare degno e adeguato, sembrano gli unici scopi perseguibili, fortemente sostenuti e strenuamente dalla parte ragionante e volitiva di superficie. Il profondo non getta la spugna, anzi dà di continuo attraverso il sentire l’occasione per veder chiaro dentro se stessi. Si vorrebbe far funzionare le cose, si vede spesso tutto in termini di riuscita e di resa efficiente, come se su un cammino già segnato non ci fosse che da proseguire e col miglior passo, illudendosi che in questo ci sia l'espressione della propria forza e capacità di iniziativa e ci siano le migliori fortune possibili da non farsi sfuggire. Non per caso e coerentemente con questa tendenza comune, oggi nell'ambito delle psicoterapie sono assai diffusi gli indirizzi che si propongono di correggere in senso funzionale ciò che nel malessere interiore è considerato (dando questo per evidente e certo) solo una risposta anomala e inadatta, non utile, che penalizza chi la vive, non diversamente da come con l'uso degli psicofarmaci, pure assai diffuso, ci si propone di intervenire sul sentire giudicato anomalo e patologico per metterlo a tacere, per correggerlo, per rimetterlo in riga con ciò che è ritenuto normale, sano, vantaggioso. L'importante è risolvere, rimettere tutto in "buono" stato di funzionamento. L'individuo e il modo di pensare comune sono predisposti a una simile scelta curativa, dove quel che conta è superare, passare oltre tutto ciò che nell'esperienza interiore disagevole è giudicato solo un peso, un aggravio inutile e limitante, un assurdo, un ostacolo di troppo e svantaggioso. Se dentro di sè compare disagio, se interiormente la propria situazione si complica, subito, ancor prima di rivolgersi al curante riparatore di turno, si interpreta l’accadimento come condizione malaugurata, come guasto e espressione di insufficienza, di incapacità di vivere le cose per il verso giusto e normale, come disturbo, come patologia che preoccupa, che allarma. Proporrò un esempio per far capire la diversità tra lo sguardo e il modo di intervenire del profondo e il modo di giudicare e di reagire dell'individuo strettamente attaccato alla visione razionale. Accade che ci sia chi si sente, via via in modo più paralizzante e intenso, impacciato, timoroso, intimidito nel contatto con gli altri, particolarmente con individui a cui, per ruolo, per statuto e per considerazione comune, si riconosce e attribuisce autorità, titolo d'essere capaci e intelligenti, in grado di fare da modello e di valutare dall'alto meriti e capacità personali. Di fronte a un'esperienza come questa la risposta più frequente dell'individuo, affidato ai criteri e ai giudizi razionali, è di volersi porre prontamente al riparo dal disagio patito, di considerare come difettoso il proprio sentire, di volerlo spegnere e sostituire, invocando una sicurezza, una fiducia in se stesso che ritiene essergli dovuta, che pensa sia scontato, normale possedere. Può partire la ricerca del rimedio nel farmaco, che smorzi l'ansia e risollevi l'umore o nell'aiuto psicologico che, mettendosi nelle mani del terapeuta, delle sue spiegazioni, dei suoi suggerimenti, delle tecniche proposte, consenta di mettere le cose a posto, che aiuti a rovesciare presto quelle sensazioni così disagevoli in altre più desiderabili e positive o che, andando a cercare nel passato, in esperienze dolorose, in traumi patiti, in condizionamenti negativi subiti, in carenze di figure significative, la presunta causa, l'origine nascosta di una così debole sicurezza e fiducia in se stessi, consenta di rompere la catena del malessere. In sintesi l'idea che sottende non poche esperienze di psicoterapia, così come l'uso degli psicofarmaci, è che quel sentire nel rapporto con altri ansia, timore e soggezione, così marcata insicurezza e impaccio, sia il risultato di una cattiva impostazione, che sia un guasto, una distorsione che andrebbe prontamente sanata, aggiustata, corretta o da cui ci si potrebbe liberare scavando nel passato, scovando la causa che avrebbe creato il punto debole, la distorsione. L'ottica e il punto di vista del profondo, il problema che vuole sollevare, lo scopo cui tende l'inconscio, che tiene vivo il disagio di cui ho parlato, sono decisamente tutt'altra cosa. Ciò che il disagio vuole far capire, le questioni fondamentali che vuole sollevare, sono ben altro che un problema di cattivo funzionamento da riparare con qualche tecnica o trucco, per (provare a) proseguire contenti e regolari. Si tratta di ascoltare ciò che il sentire dice con attenzione e fedelmente. Se il profondo vuole rendere consapevole l'individuo, non attraverso ragionamento, ma attraverso esperienza viva, da un lato del suo affannasi a cercare consenso, del peso non secondario che ha nella sua vita lo sguardo altrui, dall'altro della scarsità di autonomia di giudizio attorno a se stesso, conseguente al non aver coltivato e dato sviluppo alla conoscenza di se stesso, cos'altro di meglio potrebbe scegliere che rendere acuta nell'esperienza la percezione del problema, non consentendo di passare oltre? Non è casuale che, senza conoscenza di sè profonda, senza lo sviluppo di una autonomia di sguardo e di giudizio su se stessi e sulla propria esperienza, senza la conquista di una vera capacità di guidarsi da sè (lacune e necessità di crescita cui non si rimedia con qualche tecnica e ragionamento), lo sguardo e il giudizio altrui siano un riferimento così presente e condizionante, che diventino l'autorità a cui rifarsi e da cui dipendere. Se il profondo dell'individuo prende l'iniziativa di rendergli nel sentire cocente tutta questa questione, accentuando le sensazioni di impaccio, di soggezione, di paura dello sguardo altrui, lo fa per indurlo a aprire gli occhi, a non prescindere da questa verità, a trattare questa come l’occasione per cominciare a capire, a capirsi, a lavorarci sopra e in profondità e non come la disfunzione da correggere con qualche tecnica impartita di gestione e di preteso controllo sul proprio sentire o come il disturbo da debellare andando a ritroso a cercare qualche motivo di afflizione, trauma o cattivo condizionamento subito che possa spiegare tutto, augurandosi di riportare tutto al dritto, per proseguire come prima e nelle stesse condizioni fondamentali di sempre. Se il profondo, anzichè sostenerlo nello sforzo di ben funzionare, gli scassa e gli intralcia la corsa a dar buona prova, a dare dimostrazione, a metter fuori gli argomenti, a dire, rendendola affannosa e timida, fino a imbrigliarla, lo fa perché casomai quella di ottenere la buona prestazione e di averci un pò di apparente sicurezza è da un lato solo una maschera e una figura da mostrare e difendere (per non fare brutta figura), con sotto nulla che sostenga davvero quella messa in scena e dall'altro perchè, anche dove gli riuscisse, sarebbe misera cosa e altra da ciò che l'individuo potrebbe scoprire, costruire e offrire a se stesso passando attraverso di sè, facendo un valido lavoro su se stesso. Prima di dare buona prova per sentirsi a norma e funzionanti, c’è la necessità di vedere chiaro il proprio modo di procedere, di conoscersi senza restrizioni, in profondità e senza veli, prendendo consapevolezza di ciò che ai propri occhi vale e merita davvero di essere conquistato, smettendola di cercare soltanto e ciecamente prestazioni vuote per raccattare consenso esterno e poco più. Il rischio per l'individuo, ancora privo di visione propria, di comprensione di ciò che profondamente gli appartiene e che potrebbe comprendere e generare, di incanalare e di spingere la sua vita in qualcosa che è pallida sembianza di una vita propria e di ciò che sarebbe capace di realizzare, fa sì che il profondo prenda ferma, intransigente posizione. Se l'individuo, che vive l'esperienza disagevole che ho descritto, affidandosi ai suoi criteri razionali, cerca di porre rimedio e di correggere o di farsi aiutare a correggere ciò che considera solo una distorsione da sanare per procedere più libero da intralci il cammino di sempre, il suo inconscio vuole invece attraverso il malessere metterlo alle strette su una questione ben più importante, vuole evidenziargli invece il vuoto che sta sotto il  suo procedere abituale, la sua non conoscenza di se stesso e la non consapevolezza del modo di condurre la sua vita, vuole stimolare in lui la responsabilità di prenderne visione e di modificarne i fondamenti. Nell'incontro col proprio intimo, nell'ascolto e nel dialogo con la propria interiorità, c'è tutto ciò che può dare la visione chiara del proprio stato, senza mistificazioni, la scoperta della propria identità vera, la formazione graduale del proprio bagaglio di idee fondate, comprese da sè e alla radice, che rendono capaci di sostenere progetti e percorsi di cui essere protagonisti e artefici, con passione e  con convinzione salda, liberando se stessi dalla dipendenza dalla autorità dello sguardo e del giudizio degli altri. E' questa la condizione per dare un nuovo volto, originalmente proprio, alla propria vita di cui essere fieri, capace di sostenere e a ragion veduta una fiducia in se stessi forte e tenace come non si è mai avuta, una fiducia, un'autostima e una sicurezza ben piantate e motivate, non gonfiate ad arte e gratuite come si sarebbe preteso. L'inconscio spinge verso la conquista di questi traguardi. Se serve aiuto, questo può rivelarsi valido e prezioso se favorisce la scoperta di se stessi, particolarmente della parte di sè più intima e profonda sinora ignorata, sottovalutata o temuta, se favorisce la propria crescita solida e vera e non aggiustamenti che lasciano intatta la propria fragilità e lontananza da se stessi. La conoscenza di se stessi può essere  piegata alla pretesa di tenersi sul binario di ciò che si considera normale, adoperandosi per far funzionare tutto secondo gli andamenti soliti, anche se in disarmonia e in disaccordo col proprio profondo, che non ha mancato e che non mancherà di farsi sentire. Ben altra cosa è la conoscenza trasparente, sincera e approfondita verso cui spinge il profondo, una conoscenza che, alimentata dall'inconscio col sentire e in modo straordinariamente valido con i sogni, se assecondata e coltivata, diventa la base del cambiamento di qualità e di sostanza della propria vita, per prenderla davvero in mano, per darle volto e contenuto originali e propri, per avere unità di visione e d'intenti con tutto il proprio essere.

domenica 24 marzo 2019

Il male oscuro: la depressione

Chi si confronta con la sofferenza depressiva, con un lago di infelicità, con la sensazione che nulla abbia più colore, che di se stessi non ci sia più nulla che vale, che non ci sia più credo e spinta vitale possibile per sè, dentro un tutto solo opprimente, teme che si sia aperta una voragine, che non ci sia più nulla di se stessi, solo un male oscuro. E' proprio con queste parole "male oscuro" che si chiama abitualmente quel dolore che scava, che non cede, che spegne e affonda ogni speranza. Eppure quel male, che pare solo togliere vita, spegnere e negare qualsiasi anelito vitale, ha in sè altro. Anche se così doloroso e impietoso, senza limiti e radicale, non è affatto detto che sia un insano modo di vedere e di sentire, che non colga in profondità e che non dica il vero. Una vita cercata e inseguita ponendosi in appoggio e a rimorchio d'altro ha di fatto chiuso, ha lasciato intentate altre strade, ha lasciato cadere altre possibilità, più impegnative, ma anche più connaturate, più interiormente vive, non ha certo fatto sì che il proprio originale fosse cercato e riconosciuto, che fosse coltivato, che fosse portato alla luce e fatto crescere. Una vita condotta facendo affidamento più su altro e su credo comune che sul proprio sguardo, facendosi portare e ispirare nell'assumere modi e soluzioni che le avrebbero dato completezza e dignità, piuttosto che investire, casomai con più dispendio di tempo, di impegno e di coraggio, su propria ricerca, sul dare credito e portare a maturazione e a compimento  proprie idee e convinzioni, non può che andare incontro a verifica circa la sua debole, anzi assente radice interna, valida, forte, irriducibile. Se una simile vita, affidata a altro e copia d'altro a cui si è ispirata e omologata, zoppica, se infine non sta più su, non può fare meraviglia. La depressione è onesto bilancio e sguardo, che non maschera più le falle, che non si nasconde più i vuoti. Si ha un bel da dire, così ci provano le persone vicine a stimolare e a incoraggiare, che ci sarebbero motivi per risollevarsi, per rilanciare la fiducia in se stessi, la motivazione e la voglia di vivere, che ci sarebbero i perchè per sentirsi non così infelici, facendo riferimento a cose, a affetti, a legami, ma la parte intima sincera dice che manca alla vita condotta sinora ciò che potrebbe renderla riconoscibile come la propria vita, come la propria storia con un suo costrutto, un'opera originale, un che che non si dissolva, che si possa sinceramente amare e che si possa sentire vicino, caldo e vicino davvero. Se si è vissuto o, forse sarebbe meglio dire, sopravvissuto, casomai facendo e agendo, ma dentro ruoli e parti, sì ben svolte, ma prese in prestito, rese credibili da considerazione e da pensiero comune, se si sono portate a sè le vite altrui, che sia un familiare, il compagno/a o i figli o altro a cui ci si è votati e legati per stare su, che cosa si è creato davvero di cui ci si possa sentire artefici, a cui ci si possa rivolgere per riconoscere che la propria vita ha valore e consistenza proprie, per trovare un filo vero di passi compiuti, di fatiche e di errori e di presa di coscienza e di crescita a partire da errori,  un filo di scoperte, di credo proprio, di passioni originali? Da una verità amara si può comunque finalmente ripartire, una verità dolorosa e amara è comunque un valido punto di partenza per cominciare a ritrovarsi, molto meglio che tornare a stare appesi a illusioni, da cui prima o poi si tornerà a precipitare al suolo. In questo la depressione è coraggiosa, oltre che onesta e sincera e offre un punto di partenza valido e affidabile, purchè non le si spari addosso, giudicandola semplicemente insana e malata, senza ascoltarla e valorizzarla, per rilanciare, per gonfiare ancora l'illusorio, il facile, comodo, ingenuo illusorio. Il profondo, che consegna una simile dolorosa quanto sincera verità su se stessi e su quanto sinora fatto della propria vita, ha tutta l'intenzione e la capacità, dove si crei sintonia e gli si dia accordo nell'aprire finalmente gli occhi e nel proposito di invertire la rotta, di fare sul serio, stavolta facendo leva su impegno di intelligenza e di ricerca proprie e non su risorse prese in prestito e appoggiandosi a altro e a altri, di sostenere e di alimentare  una simile svolta epocale, con pazienza, con determinazione, con coraggio. Il profondo sa dare le guide e le occasioni per formare finalmente visione e idee proprie, sentite, comprese, in sintonia con se stessi, l'inconscio, che espone alla verità senza sconti, vuole aprire la strada alla rinascita su basi salde, originalmente proprie e vere. La cura su questo può fare conto per essere vera cura e per non limitarsi a essere tentativo di rilancio e di rattoppo di una vita cui in quella forma manca l'essenziale per essere tale, per stare su, per credere in se stessa.

domenica 17 marzo 2019

Perchè è fondamentale affidarsi alla guida dell'inconscio

Il malessere interiore, in tutte le sue possibili espressioni, ognuna significativa e non casuale, non è nè la manifestazione di un guasto o di una patologia, nè la conseguenza malaugurata di qualche fattore o condizionamento negativo, di qualche carenza o trauma patiti attuali o remoti, è l'espressione dell'intervento dell'inconscio che sta sollevando un problema cruciale. Di tutto ciò che accade e che si muove sulla nostra scena interiore l'inconscio, la parte profonda del nostro essere, è artefice e protagonista. E' perciò con l'inconscio che bisogna imparare a entrare in rapporto e in dialogo per capire, è all'inconscio che va rivolto lo sguardo e l'ascolto per farsi dire cosa sta succedendo, qual'è il problema, per farsi dare le guide della ricerca, mettendosi nella condizione di assecondare e di fare propri i processi di presa di coscienza e di trasformazione che l'inconscio sa e vuole promuovere e alimentare. E' proprio questo che si scopre possibile e che si fa in una vera esperienza analitica. Va tenuto presente che in genere non si conosce né il modo di comunicare dell'inconscio, né l'aiuto importante e decisivo che può offrire. Si pensa che gli svolgimenti interiori siano una sorta di meccanismo, che a tratti si teme possa andare in tilt. Si ignora che i confini del proprio essere sono ben più ampi di ciò che si è abituati a abitare e a riconoscere come proprio e affidabile. L'analisi offre la possibilità di entrare in rapporto, di familiarizzare e di sviluppare capacità di dialogo con la parte più intima di se stessi, di scoprire che le esperienze interiori anche le meno facili, anche le più in apparenza strane, anche le più dolorose e spiacevoli non sono distruttive, ma hanno un senso, dicono, svelano, vogliono portare vicino a se stessi, vogliono produrre crescita e trasformazioni, non sono un che di ostile e minaccioso, un che di anomalo da cui guardarsi. Se si affronta il malessere interiore travisandolo e squalificandolo come patologia o disturbo da combattere, se si pensa di condurre il lavoro di conoscenza di se stessi, di ricerca di un nuovo star bene, di un cambiamento della qualità della propria vita, senza includere da protagonista l'inconscio, ci si destina a costruire risposte inappropriate e fragili, che in un caso si traducono in un atto ostile verso la parte intima e profonda di se stessi di cui si ha la pretesa di mettere a tacere i segnali e di correggere le iniziative considerandole appunto insane, che nell'altro caso riducono il lavoro conoscitivo e di ricerca del cambiamento a un lungo giro di ricognizione, che fa conto e leva sulla capacità di osservazione e comprensione razionale, dentro episodi che fanno parte della personale biografia, momenti interiori e  esperienze vissute del presente e del passato, spesso filtrati con cura e letti con la lente deformante del pregiudizio di chi si considera potenziale vittima, mettendo assieme una concatenazione di interpretazioni e di spiegazioni, in apparenza logiche e coerenti, di presunte cause che nulla hanno a che fare col vero significato e scopo del malessere interiore. Affidare la guida del percorso conoscitivo alla parte conscia razionale implica il rischio di rimanere intrappolati dentro la sua struttura logica, dentro il modo di pensare e concepire abituale, facendo solo qualche rifinitura. La conseguenza sarà che il malessere interiore non sarà riconosciuto nelle sue ragioni, che facilmente tornerà a premere perchè inascoltato, mentre persisterà, al di là delle apparenze, la lontananza e la separazione dalla propria vita interiore, l'incapacità di comunicare col proprio sentire, l'incomprensione sostanziale del proprio profondo, casomai con qualche irrigidimento e barriera in più, data dalla pretesa di aver spiegato ciò a cui in realtà non si è dato voce. Non è raro che chi ha compiuto un lavoro su se stesso fondato sull'iniziativa della componente conscia risulti a un'attenta osservazione, seppur in apparenza più consapevole e aperto a se stesso, più rigido, affidato a modi di pensare e di interpretare se stesso e le vicende interiori che sembrano prefissati e sempre uguali. Dunque ciò che la crisi interiore voleva aprire e consentire, lo scopo del malessere rischia di non essere compreso e assecondato. Parlo di scopo perchè il malessere interiore, sollevato e tenuto vivo dall'inconscio, tende a uno scopo, prima di tutto di portare con forza l'attenzione e la preoccupazione su se stessi, facendo percepire critico il proprio stato. L'intento è di condurre a un'attenta rivisitazione del proprio modo abituale di procedere e di stare in rapporto con se stessi, con la propria interiorità, ponendo se stessi al centro dello sguardo, senza far risalire tutto a altro e all'interagire con altri. L'inconscio vuole che si prenda visione del volto attuale della propria vita e dei suoi fondamenti, una vita spesso solo in apparenza propria, in cui, se lontani da se stessi, se ignari del significato originale di ciò che vive dentro se stessi, si procede fatalmente dentro direzioni e su guide segnate da altro comune e già concepito, che orienta e che dà credibilità alle proprie scelte e ai propri pensieri ragionati, una vita in cui si è in sintonia più con l'esterno, con gli altri e col senso comune, che col proprio intimo. Questo l'inconscio spesso vuole segnalare, spingendo con forza e con insistenza la parte conscia, che vorrebbe considerare tutto già a posto e da proseguire, verso una graduale e lucida presa di coscienza del vero del proprio stato e di pari passo verso una profonda trasformazione che veda il congiungersi a sè, il legame con la propria vita interiore, come passo decisivo e condizione irrinunciabile per formare, dentro e attraverso questa unità con se stessi, con la propria interiorità, finalmente ascoltata e compresa nel suo linguaggio, il proprio bagaglio di conoscenze, di scoperte di significati e di valore, non più presi da fuori, ma formati e compresi da dentro e alla radice. Tutto questo l'inconscio vuole promuovere e a questo è pronto a dare nutrimento e guida col sentire e soprattutto con i sogni. Lo scopo è di rinascere con una vita propria, con una visione propria, con una capacità di dirigersi autonoma e coerente con se stessi, con le proprie passioni, idee e aspirazioni scoperte e verificate da sè profondamente e non prese in prestito e fasulle. Lavorare su se stessi, cercare di capire e di conoscersi, di trovare le proprie risposte, lasciando la guida delle operazioni alla parte conscia, significa ricadere nei limiti del già pensato e concepito, significa confermare le stesse condizioni e l'orizzonte mentale di sempre, casomai con qualche rinnovamento e abbellimento di facciata, inutile e inconsistente. E' importante coinvolgere l'inconscio, affidarsi alla sua guida perchè questo garantisce di trovare la risposta al malessere interiore la più consona e felice e perchè crea un nuovo modo di stare in rapporto con se stessi, unitario e dialogico, dove il profondo, dove l'inconscio diventa parte integrante della propria vita, superando una condizione di scissione tra pensare e sentire, tra sè e il proprio intimo.

lunedì 11 marzo 2019

Il rapporto col dolore

Il rapporto con l'esperienza interiore dolorosa è questione decisiva. Spesso il dolore è vissuto come pena indebita, come afflizione immeritata, come danno patito. Prontamente lo si riconduce a cause esterne, lo si tratta come segnale e indice di situazione a sè sfavorevole, che opprime e lede, come carico esagerato che toglie serenità, che non offre il dovuto (tale è considerato) agio o il meglio. Allontanare l'insieme che pare responsabile di arrecare dolore, vuoi il legame con una o più persone, vuoi un luogo o una situazione concreta e cercare altrove tregua, sollievo o miglior fortuna e beneficio sono risposte frequenti al dolore. Smorzare o soffocare, zittire con ogni mezzo, psicofarmaci, alcol, cibo, distrazioni varie o altro, il dolore come fosse il peggio da cui trarsi in salvo, a cui non concedere spazio, da cui evadere è risposta non certo rara. Sfogarsi con qualcuno, casomai inanellando spiegazioni sommarie miste a recriminazioni, a atti d'accusa rivolti a altri e a altro, a autocompiangimento è un altro mezzo frequentemente usato per provare a scaricare il dolore. Il dolore però, ben lungi dall'essere una pena inflitta da causa esterna e una sciagura, preme interiormente, sostenuto da iniziativa del proprio profondo, assai lucida e niente affatto maligna, per dare pungolo e occasione di aprire gli occhi e di lavorare prima di tutto, senza risparmio e senza veli, su se stessi, per rivedere quanto vissuto, per ripercorrere non nella superficie dei fatti ma all'interno il cammino fatto dentro l'esperienza, collocando se stessi, i perchè delle proprie scelte, i modi e le risposte date, al centro dell'attenzione. Cosa nel dolore si muove, cosa il dolore svela e acuisce è ciò che merita di essere riconosciuto, che chiede di essere ascoltato, valorizzato e compreso. Non farlo significa non raccogliere il messaggio della propria interiorità, la proposta di riflessione attenta e puntuale tracciata dal proprio sentire doloroso, che incalza, che non dà tregua, significa passare oltre e andar via immutati, sprovvisti di una guida utile e indispensabile, di una intesa nuova con se stessi, di una scoperta di verità e di significati che il passaggio critico e doloroso vuole far trovare. Riversare su altro la causa e i perchè, provare a superare in fretta o a evadere dal dolore significa, pur pensando di aver ben risposto al proprio disagio, tornare fatalmente a riprodurre altrove le stesse modalità e implicazioni proprie non riconosciute, in definitiva significa ricreare la stessa situazione da cui si proviene e di cui ci si è voluti liberare. Il dolore interiore non è sciagura, è voce, è occasione di approfondito sguardo, che è necessario imparare a esercitare su di sè principalmente, con attenzione e con pazienza. La riflessione combinata a capacità di tener dentro il malessere, di reggere l'esposizione al dolore, accettando il coinvolgimento nell'esperienza disagevole, è indispensabile. La riflessione non è, come spesso si fraintende, esercizio di ragionamento che cerca di spiegare, ma è capacità di ascolto e di vedere cosa l'intimo sentire delinea e sottolinea, disegna e dice. Nulla va spiegato o interpretato spingendosi oltre ciò che il sentire dice, perchè ogni elaborazione che non poggi e che non stia nella traccia viva del sentire rischia di essere spiantata e di dare occasione solo alla voglia di chiudere in fretta, casomai mettendo al riparo se stessi da ammissioni difficili. E' di fondamentale importanza non squalificare l'esperienza interiore vissuta, comunque sia, non pretendere di cancellare, di superare subito ciò che invece preme interiormente, pur dolorosamente, per dare occasione di presa di visione e di consapevolezza. Scopo di una buona  psicoterapia è proprio di favorire e di far crescere la capacità di entrare in rapporto con l'intima esperienza, anche se dolorosa, imparando a comprendere il linguaggio della propria interiorità, a non commentare o spiegare ma a ascoltare il proprio sentire, scoprendo che quanto si sta provando nell'intimo, anche se assai difficile, non è una minaccia o uno stato anomalo da correggere, non è la spiacevole conseguenza di qualche danno o trauma subiti, bensì la guida preziosa per conoscere e per capirsi, per trovare profonda sintonia e vicinanza con se stessi. Capire, capirsi è assai più proficuo che fuggire dal dolore e apre a se stessi strade, che la scelta di alleggerirsi e di procurarsi qualche soluzione o rimedio, lasciando tutto intatto, non aprirà mai.