martedì 26 giugno 2018
La vera patologia
La vera patologia è trattare come assurdo e anomalo il proprio sentire, che, "colpevole" di essere scomodo e spiacevole, diverso nelle sue espressioni dalla presunta normalità, insiste interiormente, non dà tregua, non si fa zittire, non si fa problemi nel rendere accidentato il percorso d'esperienza. Esperienze interiori, non certo facili, come quelle segnate da ansia e da paure anche estreme come negli attacchi di panico, da perdita di fiducia, da senso di vuoto e di inutilità, da catene e da grovigli ossessivi o da altre espressioni del malessere interiore, tutte significative e capaci, se sapute ascoltare e intendere senza pregiudizi, di dire e di dare all'individuo apporto prezioso di consapevolezza e di avvicinamento a se stesso, finiscono in larga parte per essere trattate come fatti anomali, giudicate senza esitazioni come contrastanti le sue esigenze di buona salute, infilate in caselle diagnostiche, che si limitano a etichettarle e a svuotarle di senso, sottolineando e stigmatizzando solo la diversità di queste esperienze interiori dalla cosiddetta normalità. In realtà, a proposito di normale condizione interiore, l'esperienza interiore di ognuno, vista senza omissioni e veli, è assai più complessa e complicata di quanto quell'idea di normalità voglia rappresentare. La normalità è in ogni caso, sia in ciò che pretenderebbe includere che in ciò che vorrebbe escludere, un mito, un criterio rozzo e statistico, una verità presunta, che concepisce la vita interiore come meccanica, come congegno che dovrebbe riprodurre cadenze e modi regolari, fisiologici. L'idea di normalità, che piega le esperienze interiori difficili e dolorose al ruolo di patologiche manifestazioni, allontanate da sè, ripudiate come se il malessere interiore fosse una presenza molesta e estranea, prodotto di un che di avverso e insano, al pari di una malattia infettiva, è un preconcetto diffusissimo, frutto di profonda ignoranza di cosa siano l'interiorità e il profondo. La conseguenza dell'andare dietro a un simile preconcetto è di perdere davvero il senno e la bussola, di lacerare il rapporto possibile con la propria interiorità, pur convinti di operare a proprio vantaggio, di fare il necessario, in situazioni di malessere e di crisi interiori, per trarsi in salvo dal rischio di perdersi. Non si comprende che quanto si muove interiormente vuole portare utilmente a convergere con se stessi, per non andare avanti in disunione e senza consapevolezza del significato e delle implicazioni del proprio procedere. Per l'interiorità, che parla attraverso il sentire, sono infatti priorità assolute quella di prendere consapevolezza, senza illusioni e mistificazioni di comodo, del proprio stato e modo di procedere, della direzione data alla propria vita, quella di porre in risalto come problema e nodo decisivi lo stato di lontananza dal proprio intimo, di non conoscenza di se stessi. La vera patologia è prendere per insano ciò che nell'intervento dell'interiorità invece è espressione di coraggioso e intelligente spirito di ricerca di verità, di volontà di spingere a aprire gli occhi, a trovare non la via dell'accomodamento e dell'adattamento a modi comuni, non la corsa verso i traguardi già segnati da mentalità e da modelli dominanti, non la tendenza a difendere la propria presunta autosufficienza e maturità, anche se fragili e illusorie, più confermate da fuori che da dentro se stessi, ma la strada della verità, del mettersi allo specchio, del riconoscere ciò che di se stessi va profondamente trasformato e costruito. C'è l'intesa con il proprio intimo sentire da trovare finalmente, c'è la formazione del proprio pensiero originale, c'è la scoperta di ciò che, aderente e corrispondente a sè e non alle pretese e alle preferenze comuni, potrebbe nascere da se stessi se coltivato con pazienza e con tenacia. La sofferenza interiore non è segno di cedimenti e di malfunzionamento, è decisamente il contrario, è consegna di consapevolezza, a condizione che la si ascolti, che la si comprenda in ciò che dice, che si smetta di liquidarla come patologia e segno di cattivo funzionamento. Prospera sulla sofferenza interiore solo il pregiudizio, l'arroganza del luogo comune, la pretesa rude di spingere avanti le cose come sempre, prendendo a calci la proposta interiore, presto cestinata e fraintesa. Quando si arriva a capire quanto saggia e provvida, affidabile e intelligente sia la parte di sè interiore che parla e che preme nel sentire, quando, aprendo a tutto campo, come si fa in una buona esperienza analitica, il dialogo con l'interiorità, la si fa parlare non solo nei vissuti, nel sentire in tutte le sue espressioni anche le più difficili e dolorose, ma anche nei sogni, veri capolavori di intelligenza e promotori di pensiero riflessivo, acuto, penetrante e lungimirante, non stoltamente conforme, appiattito sul solito e ripetitivo, si arriva a capire l'equivoco e l'inganno madornale in cui si era caduti nel considerare nemico e malato ciò che interiormente non si sapeva capire e valorizzare. La vera patologia è l'ignoranza del significato e del valore delle vicende interiori. Senza il contributo della parte di se stessi intima e profonda si è persi e destinati solo a rincorrere docilmente l'accordo e il sostegno di altro e di altri e non la intesa e la unità con se stessi, da cui può nascere il proprio modo di concepire la vita, autonomo e lucido, la capacità di trovare le proprie risposte, i propri scopi, di raggiungere la propria pienezza di vita. Serve aiuto per non gettare e per far proprio il contributo della propria interiorità, per avvalersene. Serve l'aiuto capace di capovolgere il pregiudizio circa il significato del malessere interiore, pregiudizio che vive non solo fuori, ma anche dentro se stessi, aprendo un percorso capace di rendere via via tangibile che della propria interiorità ci si può fidare. Serve l'aiuto di chi sappia guidare a formare intesa e unità con se stessi, a coltivare capacità di ascolto e a trovare consonanza piena con la propria interiorità. La cura dev'essere finalizzata a unire il proprio essere e a valorizzare la propria esperienza interiore, onorandola nel suo vero significato e valore e non a confermare, come non poche forme di cura, farmacologiche e psicologiche fanno, la divisione da se stessi, lo stato di diffidenza e di belligeranza col proprio intimo e profondo.
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