Accade spesso che l'interiorità non sia compresa in ciò
che vuole dire e proporre. L'errore nasce prima di tutto dal rimanere
prigionieri della visione comune e prevalente, che afferma che tutto
interiormente dovrebbe svolgersi secondo una presunta normalità, il che
predispone a trattare come sospette anomalie le esperienze interiori complesse
e difficoltate di disagio. Non solo, ma in presenza di una condizione di
malessere interiore, succede spessissimo che il malessere sia riferito e
principalmente letto come un problema di rapporto con l'esterno, che la ricerca
si indirizzi subito in questa direzione. Il malessere interiore in realtà, per
quanto metta nella condizione di sentire un legame stentato e critico con
l'esterno, con gli altri, forza il coinvolgimento e spinge l'attenzione
dell'individuo verso l'interno, verso l'intimo di se stesso, produce una sorta
di ripiegamento, di introversione forzata, di caricamento e di polarizzazione
di sensazioni e di stati d'animo (ad esempio di paura, smarrimento, apprensione,
di scoramento e sfiducia), che collocano comunque dentro se stesso il cuore
pulsante della sua esperienza. Cosa vuole questo malessere, cosa dice, cosa
intende proporre? Questo è il punto. Lasciare dire alla parte profonda cosa
dentro e attraverso il malessere sta sollevando e proponendo, imparare ad
ascoltarla e a comprenderla nel sentire che anima e nei sogni, è la scelta da
fare, ma già riconoscere che c'è nel proprio intimo una parte profonda capace
di dire, di proporre è per la maggior parte degli individui una novità senza
precedenti. Solitamente infatti si tende a circoscrivere la percezione e il
riconoscimento del proprio essere alla parte conscia, abituata a tenere in
pugno tutto, parte che ragiona e che decide, il resto, l'intimo, il sentire,
gli svolgimenti interiori, i sogni, sono intesi e trattati come appendice più o
meno trascurabile, da cui non ci si aspetta di poter ricevere granché di utile
e di sostanziale per capirsi, per orientarsi. Si pretenderebbe viceversa che la
componente interiore si accodi e si accordi, giudicando che, dove non si
accordi con gli orientamenti e con i propositi razionali, ciò accada per
qualche sua bizzarria o, dove acuisca i toni, per un suo anomalo stato. Gli
stessi terapeuti in non pochi casi hanno un'idea dell'essere umano che poco si
discosta da questa visione comune, al più pensano che l'inconscio, ammesso che
ne tengano conto, sia (oltre che origine di pulsioni e di risposte immediate,
emotive, che se a volte paiono rivelatrici, spesso invece sono considerate
inaffidabili perché "irrazionali") un ricettacolo o serbatoio di
ricordi, di esperienze traumatiche e dolorose, di spinte e di desideri,
difficili da ammettere alla consapevolezza, lì rimosse e tenute in sequestro.
C'è un'idea ricorrente per spiegare le origini e le ragioni del malessere
attuale, che piace sia a chi vive malessere interiore che a non pochi curanti,
che ritiene che la vita interiore possa essere stata turbata e segnata da
episodi traumatici del passato, da esperienze e da condizionamenti subiti,
sfavorevoli e con effetti distorcenti il normale sviluppo atteso, che di
conseguenza l'esperienza interiore attuale ancora ne risenta, ripetendo anche
nel presente, come un disco rotto, errori e segni di alterato funzionamento.
L'inconscio riproporrebbe come un automa simili distorsioni e resterebbe
ancorato a quei precedenti storici. Si ritiene insomma che la vita interiore
sia rimasta nel tempo, fino al presente, come congelata, inchiodata a quei
passati episodi traumatici e condizionamenti sfavorevoli. E' un teorema, questo
che vuole che la sofferenza attuale sia conseguenza di remoti accidenti
sfavorevoli subiti e di responsabilità altrui, che non appartiene solo a chi
soffre interiormente, che gli vale una spiegazione vittimistica del proprio
disagio e malessere interiori, ma spesso anche a chi gli si mette a fianco per
aiutarlo. Il malessere, considerato senza esitazioni un'espressione di
malfunzionamento, di alterazione della normalità, è consegnato subito a cause e
a ipotetici condizionamenti esterni, così come a possibili soluzioni esterne,
senza intendere che sia espressione di intervento e di presa di posizione, di
richiamo e di iniziativa del profondo e che dunque col proprio profondo sia da
cercare finalmente un incontro e da coltivare un dialogo. E' così abituale
pensarsi solo e unicamente in relazione ad altro e ad altri, che tutta
l'attenzione e la ricerca si concentrano in questa direzione, saltando a pie
pari, ignorando l'esigenza di una apertura a se stessi, di un confronto con la
propria parte intima e profonda, dentro cui si sta muovendo inquietudine e
malessere, segnali di crisi, come necessità prioritaria, come punto saldo,
decisivo per cominciare a ritrovarsi. Per comprendere la voce del malessere
interiore, il suo richiamo, è necessario non sovrapporgli congetture e
spiegazioni circa la sua causa cercandole a destra e a sinistra, in questo o in
quello di circostanze e di fattori esterni a sé, ma è necessario sintonizzarsi
con l'intimo, imparare ad ascoltarlo, scoprirne la voce nel sentire e nei
sogni, che tanto sanno dire e far comprendere, che tanto sanno avvicinare a se
stessi e rivelare del significato e dello scopo di quanto sta accadendo
interiormente. E’ assai frequente che non si sia dotati di capacità di ascolto
e di dialogo col proprio intimo, che non se ne conosca il linguaggio, il modo
di comunicare, che non se ne comprenda l'intenzione e la capacità di pensiero
di cui è portatore e che può trasmettere, che si ignori la spinta che sa
esercitare per aprire il proprio sguardo, per portarlo a vedere, al di là delle
apparenze, il vero della propria
condizione, nelle proprie espressioni e modi di condursi, essenziale per non
continuare a procedere senza sapere, a pensare senza comprendere. Abituati a
cercare segnali e occasioni di vita fuori e a tenere prima di tutto lì lo
sguardo e l'attenzione, a avere cura e preoccupazione di sviluppare capacità di
presenza e di risposta negli scambi con l’esterno, con gli altri, a cercare da
fonti esterne contributi e lezioni di pensiero, per moltissimi non ha preso
forma e sviluppo, oltre che l’interesse, la capacità di ascolto e di dialogo
col proprio intimo. Prezioso e necessario si renderebbe un aiuto, reso più
urgente in presenza di malessere e di crisi interiore, per imparare a trovare
rapporto e intesa col proprio intimo. Accade però che oltre all'individuo,
abituato a assorbire e a chiudersi nella concezione comune e prevalente
dell'esistenza, intesa prima di tutto come legame con altro e con altri e come
ricerca sempre rivolta al fuori, gli stessi terapeuti, in non pochi casi,
pensino che il centro dell'esistenza dell'individuo sia il rapporto con
l'esterno, con gli altri, con quella che volentieri chiamano, come fosse
un'entità univoca e assoluta, la "realtà". Puntano subito
l'attenzione in quella direzione, per indagare la presenza nell'individuo,
portatore di malessere interiore, di insufficienti o errati ( li chiamano
disfunzionali) modi di intendere e di affrontare il rapporto con gli altri e con
le situazioni esterne, cercano di stimolare, incoraggiare e portare a nuove,
ritenute più normali e felici, soluzioni per interpretare e gestire il rapporto
con l'esterno, come fosse lì l'essenza dell'individuo e il punto d'origine e il
fulcro del suo conoscersi e realizzarsi. Spesso manca completamente, non è
acquisizione presente nel pensiero non solo di chi soffre disagio, ma sovente
anche di chi se ne prende cura, che esista una parte del proprio essere, quella
profonda, non solo influente e decisiva nel muovere e nel plasmare l'esperienza
interiore (non sono fattori esterni ma è il profondo a plasmare e a
"qualificare" la risposta, anzi la proposta del sentire), ma anche
fortemente propositiva e creativa. Questa parte profonda della propria psiche è
capace già nelle espressioni della sofferenza interiore, tutt'altro che casuali
e disordinate, tutt’altro che espressioni di patologia da incasellare e da
bollare con qualche etichetta diagnostica da manuale di psicopatologia, di
sollevare in modo acuto e puntuale questioni decisive e fondamentali
riguardanti il proprio modo di procedere, di stare in rapporto, spesso in non
rapporto, con se stessi, col proprio intimo. Non si comprende che il malessere
interiore, che la crisi è espressione di un intervento del profondo, che vuole
risvegliare la presa di coscienza, che vuole interrompere il procedere cieco,
un modo di pensarsi e di vedere la propria esperienza, incline solo a spingere
avanti le cose, che non vede su quali basi e in che modo si sta impegnando se
stessi, la propria vita. Non si comprende che è con se stessi, con la propria
interiorità che è in atto un confronto, che è con la propria interiorità, che
muove il malessere e gli dà forza e ne dirige i modi e l’andamento, che va
trovato un rapporto e va aperto un dialogo, cercato un approfondito
chiarimento, una nuova intesa. Tutto il
malessere interiore infatti, visto abitualmente come guasto, vuoi provocato da
cattive interferenze e condizionamenti esterni, vuoi legato a un modo scorretto
o inadeguato di procedere, non regolare, non secondo normalità, che come tale
non procurerebbe benefici e benessere, un procedere che nella sostanza e nei
suoi fondamenti e presupposti non è in discussione, è in realtà segno e espressione
della presa di posizione della parte profonda dell’essere, che non può e non
vuole tacere la propria visione dello stato delle cose, la propria
consapevolezza, che vuole “contagiare“ di questa l‘individuo nel suo insieme,
nei suoi pensieri, nei suoi umori, nei suoi propositi. Non è una presenza
dentro di noi estranea e aliena quella del profondo, l’inconscio siamo noi nel
nostro tenere lo sguardo, al di là delle apparenze e senza sviste, su di noi,
nel riconoscere il vero della nostra condizione e del nostro modo di procedere,
che vede spesso il disaccordo e il mancato incontro tra sentire e pensare, tra
esperienza intima e coscienza di noi stessi. L'inconscio siamo noi nel nostro
non rinunciare a noi stessi, nel nostro voler essere non copia d’altro,
passivi, per inerzia e per comodo, per adesione e soggezione al modo appreso e
dominante, nel consumare ciò che c'è, ipotesi, soluzioni e scelte che la
cosiddetta realtà offre confezionate e pronte, passivi nel pensare secondo idee
e parametri comuni, guidati e regolati più di quanto non si voglia ammettere
dall'esterno, dipendenti dalla conferma esterna, ma soggetti, portatori e
capaci di un originale pensiero e progetto, certamente non già prontamente
fruibili, ma da coltivare e da generare, come è reso possibile dalla guida del
profondo. L'inconscio siamo noi nella volontà di non procedere incuranti di
capire, di sapere, di affrontare il vero, pur difficile o doloroso, senza
omissioni, equivoci e contraffazioni, concentrandoci sulla nostra esperienza,
affidandoci non alle spiegazioni solite e comuni, ma al nostro sguardo,
cercando risposte non costruite col ragionamento, ma fondate sul vissuto, sul
confronto aperto e sull'ascolto fedele del nostro sentire senza tagli, senza
omissioni, senza fughe. L'inconscio è la parte di noi che vuole questo impegno
e sforzo di ricerca e di costruzione, che non asseconda le illusioni di avere
già autonomia e originalità di pensiero, se formati su basi inconsistenti o
facendo il verso ad altro da noi stessi che lo ispira e lo sostiene.
L’inconscio è la parte di noi stessi che ci vuole instradare e sostenere nella
nostra ricerca di consapevolezza vera, senza veli, senza semplificazioni,
salda, affidabile e capace. L’inconscio non cerca la normalizzazione, ma la
verità e la realizzazione autentica, perché diversamente non c’è vita vera.
L’inconscio è vita. Tutto lo sforzo per cercare di stare nelle guide di un modo
di vivere e di intendere la vita dato per scontato, conforme al già concepito e
comunemente inteso, modellandosi nella cosiddetta normalità, facendosi bastare
e dando credito a soluzioni fragili, a illusorie rappresentazioni di se stessi,
tutta la strategia curativa che vuole ricondurre il malessere se non a semplice
patologia, a insufficiente o infelice adattamento, che vuole ricucire e che di
fatto incoraggia e forza a stare dentro il già dato e conosciuto, urta contro
la scelta del profondo, non la considera e non la comprende. Anzi, l’idea che
il malessere sia un disturbo, un ostacolo da superare, al più da spiegare come
conseguenza di qualche infelice precedente e influenza negativa di un genitore
piuttosto che di qualcun altro o di qualcos’altro, è un enorme travisamento e
incomprensione delle espressioni della vita interiore, del profondo, delle sue
intenzioni. Per il profondo vivere è far vivere se stessi, è formare visione,
pensiero propri, base e leva della libertà e della capacità di mettere al mondo
la propria idea e realizzazione, di compiere il proprio originale cammino. La
posta in gioco è essere adattati, passivi e silenti, non importa se, illusoriamente,
convinti di avere personalità spiccata e cose da dire, però senza radice,
fondamento e sostegno in se stessi, oppure presenza consapevole e feconda,
capace davvero di autonoma visione e di autonomo progetto, questo l’inconscio
vuole porre e tenere viva come questione, purtroppo non compresa, spesso
misconosciuta, oltre i confini del modo di intendere della testa ragionante,
del modo di pensare consueto e prevalente. Quando l’inconscio ha occasione di
essere ascoltato e rispettato, seriamente valorizzato, fedelmente compreso, sia
nel sentire, che anima e che plasma, che nei sogni, dove dà il meglio di sé,
come accade in una valida esperienza analitica, il contributo che sa dare di
pensiero, di risveglio di umanità, di gioia e di passione di conoscere e di far
vivere se stessi, è enorme.
Raccolgo qui alcuni miei scritti, in parte già comparsi in rete. Via via ne aggiungerò. Spero diano spunto a riflessioni e, per chi vorrà, a un confronto. Svolgo da molti anni attività psicoanalitica e dall'ascolto quotidiano dell'inconscio ho tratto e traggo il sapere di cui dispongo. L'intelligenza dell'inconscio, la sua capacità propositiva sono in gran parte sconosciute ai più. Vorrei contribuire a far conoscere e scoprire questa risorsa interiore essenziale e di formidabile valore.
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