Privi del legame, come spesso accade, con la parte intima
e profonda di se stessi, non si ha alternativa, solo le guide esterne diventano
attive e solo a queste si affida la costruzione del proprio pensiero, la
definizione dei traguardi da perseguire, delle fortune da cercare e da
tutelare. Il vincolo di dipendenza da queste guide diventa talmente stretto e
disarmante, da considerare proprio e naturale pensarla e volerla nel modo preso
e appreso da questo legame, come se ciò che nel tempo ne è scaturito fosse
creatura propria, frutto di persuasione e di passione propria. Senza radici,
senza legame e capacità di scambio col proprio profondo, che non asseconda, che
non cede di certo alla seduzione della dipendenza, del farsi istruire e dire,
del considerare ovvio e naturale tutto questo, dell'accreditare come proprio
ciò che ne deriva e che proprio non è, non si riconosce altra vita che quella
tenuta in piedi dal vincolo, dall'attaccamento dipendente. Non c'è altra
possibilità che continuare a dare credito e a alimentare ciò da cui si trae
presunta vita propria, non c'è altra possibilità di tenersi in equilibrio che
la simbiosi con altro, che dare cioè credo e dedizione di sè a ciò che in
cambio offre e sostiene quella parvenza di esistenza propria. La parte profonda
ha ben altro intento che tenere in piedi un simile stato dell'essere, che non
onora di certo la fedeltà a se stessi, che non riconosce la possibilità di coltivare,
di sviluppare e far vivere qualcosa di originalmente proprio, perciò interviene
alimentando il malessere interiore e la crisi. Da parte del profondo c’è la
difesa dell'autentico, l'aspirazione a portare a maturazione il proprio
originale, il progetto di vita come da sè può essere concepito e generato. Il
profondo di se stessi, portatore delle proprie originali potenzialità, promuove
lo sviluppo autentico e indipendente, come la radice di un albero che non può
che volere di dare compimento e sviluppo a se stesso, non all'artefatto che
nasce dalla dipendenza e dall’innesto su un'altra matrice. Perciò l'inconscio
spinge prima di tutto per la verifica della costruzione di vita a cui ci si è
legati, per la presa di visione dei vincoli sottesi e delle basi su cui si è
formata, sui cui presupposti si sta conducendo la propria esistenza.
L'inconscio, avvalendosi del sentire e di tutto quanto il corso interiore, che
plasma e dirige, inserendo nella propria esperienza interiore segnali anche
forti di malessere, sempre però ben direzionati a evidenziare punti decisivi,
spinge per mettere sotto sguardo riflessivo il proprio modo di procedere, per
sottoporlo a una verifica attenta, senza altro perseguire che fare emergere il
vero. Sono verità su se stessi che non danno conferme, che anzi, mettendone a
nudo la mancanza di fondamento vero, scardinano le persuasioni cui si è legati.
Sono verità da cui si è abitualmente ben lontani, che risultano comunque difficili
da accettare, da condividere col proprio intimo e profondo. Non c'è intento
ostile e distruttivo da parte del profondo, che se dà contro lo fa unicamente
verso gli equivoci e le false persuasioni, contro i vuoti di consapevolezza.
C'è però un grosso ostacolo alla possibilità di un confronto aperto e sincero
con l'iniziativa e la proposta del proprio profondo. Pesa il costo della
distanza, della lontananza, che si è rafforzata nel tempo, da una parte di sè,
intima e profonda, che è stata relegata a un ruolo marginale e con cui in
genere non si è creata familiarità di incontro e di dialogo, una parte vitale
di se stessi da cui ci si è estraniati, riducendola a meccanismo un pò oscuro,
cui non si è riconosciuto di essere parte vicina dialogante e propositiva, la
più vicina, appartenente al proprio essere, voce del proprio essere, di cui non
ci si è messi in grado dunque di riconoscere e di apprezzare l'affidabilità e
la capacità di dare stimoli e guide valide e non trascurabili. Per mancanza di
familiarità col proprio intimo e profondo, spesso per ignoranza del suo
esistere se non come rumore di fondo di sensazioni cui ci si è abituati a non
dare gran peso, la banalizzazione dei suoi più significativi interventi come
attraverso i sogni, considerati fantasiose e assurde produzioni, brandelli di
impressioni indotte e stimolate
dall'esterno, per effetto di tutto questo accade che non si faccia
tesoro del contributo che il proprio inconscio vuole e è capace di dare, che si
mantenga forte il vincolo con una forma d'esistenza che fa leva e conto su
altre guide da quella interiore e propria. Nel condursi e nel pensarsi si
continua a fare leva sulla parte razionale, che non alimentata e guidata dalla
parte intima e profonda, non può che esercitare il proprio pensiero avvalendosi
e rielaborando altro preso da fuori, modelli, attribuzioni di significato,
modalità di giudizio comuni e condivise, che, se danno supporto e convalida a
ciò che si pensa, nello stesso tempo ne tengono ben fissi i confini e
l'orizzonte. L'inconscio è la parte più matura del proprio essere, la meno
disposta a farsi istruire e dire, la meno intrappolata nelle illusioni e nella
falsa coscienza, che fanno da collante per il mantenimento di una condizione
tutt'altro che felicemente corrispondente al proprio potenziale vero di
scoperta e di conoscenza, alle proprie esigenze di crescita personale
autentica. Privi, ben al di là della presunzione di possederne, di capacità di
visione, di critica, di capacità riflessiva di vedere, come guardando dentro
uno specchio la propria realtà e condizione, cosa c'è di vero e cosa implica il
proprio modo di procedere abituale, di riconoscere quel legame di adesione e di
passiva dipendenza da altro comune e già concepito, su cui poggia il proprio
pensare e agire, si finisce per dare credito e per difendere con ostinazione
come realizzazione valida ciò che non corrisponde a realizzazione vera di se stessi.
Pur dentro le guide di un pensiero che non ha fondamento nella propria autonoma
scoperta di significati e di verità, che non è frutto di un attento lavoro
sulla propria esperienza, ci si abitua a considerarlo capace di definire ciò
che è reale, di dare valido e affidabile fondamento a ciò che viene perseguito,
che pare realizzare validamente la propria vita. Si crea persuasione di avere
pensiero e capacità di decisione autonoma, rimanendo all'oscuro, senza vedere,
senza prendere attenta visione del mancato fondamento, del tributo di
dipendenza da guide esterne di esempi e modelli ricorrenti e prevalenti, di
pensato comune, di questa pseudo libertà di iniziativa, dipendenza che finisce
per indirizzare la propria vita su percorsi già segnati. Solo l'inconscio non cade in questi equivoci
e solo l'inconscio ha la forza e la tenacia di scuotere le certezze mal fondate
e mai seriamente e attentamente verificate, mettendo in campo inquietudini,
disagi, malesseri, tutto ciò che interiormente vuole mettere in crisi le
disinvolte persuasioni dentro cui naufraga l'unico bene che conta, il risveglio
e l'esercizio della propria consapevolezza. Spiantati, privi delle proprie
intime radici, si diventa, seppure illegittimi, figli docili e ossequiosi di
altro, che si è assunto a guida e maestro, soprattutto si diventa tenaci
sostenitori della propria resa, della resa della propria libertà e autonomia,
dei beni più preziosi, barattati col dare buona prova per incassare qualche
plauso e consenso. L'inconscio concepisce per se stessi un ben diverso destino
e progetto. L'inconscio cerca, prima di tutto spingendo attraverso crisi e
inquietudini e malessere interiore a aprire gli occhi sul vero, di promuovere
la costruzione delle basi di una vera autonomia, di una libertà di
realizzazione personale della propria vita secondo se stessi. Perciò è la parte
più matura del proprio essere, che meriterebbe di essere riconosciuta e portata
al centro della propria vita. Infine una considerazione è necessaria, oltre che
utile. Chi si confronta con una situazione interiore difficile e sofferta
potrebbe considerare lontana dai suoi immediati interessi la riflessione che ho
aperto in questo scritto. La ricerca di soluzioni e rimedi, il desiderio di
capire e di approfondire la conoscenza di se stessi circoscritti e resi strumentali
alla ricerca di qualche spiegazione di causa per il proprio malessere, per
sbloccare ciò che pare malamente intralciato, potrebbe far sembrare lontana
dalle proprie necessità la riflessione che ho proposto. La crisi e il disagio
interiore non sono però frutto di qualche anomalia da correggere, persuasione
che appartiene a chi è pronto a rilanciare nella sostanza, senza necessità di
verifica, il proprio modo abituale di essere e di procedere. Dentro la crisi c’è
l’intervento deciso e decisivo della propria parte profonda, che, quando rispettata
nel suo dire, come succede nel corso di un’analisi che le dia voce e che le
riservi attento ascolto, pone con lucida intelligenza le questioni di cui ho
parlato, promuovendo come scopo un processo di profondo cambiamento personale,
nel verso di generare e far vivere il proprio. Non intendere questo comporta il
rischio di sancire, con un’idea di crisi come guasto o patologia, della cura
come ricerca di soluzioni di aggiustamenti e per un riallineamento della
propria vita su basi solite, il disaccordo con la parte intima e profonda di se
stessi, col rischio più sostanziale di non offrire a se stessi la possibiltà di
un cambiamento profondo, che consiste nel rimettere la propria vita sulle
proprie radici.
Raccolgo qui alcuni miei scritti, in parte già comparsi in rete. Via via ne aggiungerò. Spero diano spunto a riflessioni e, per chi vorrà, a un confronto. Svolgo da molti anni attività psicoanalitica e dall'ascolto quotidiano dell'inconscio ho tratto e traggo il sapere di cui dispongo. L'intelligenza dell'inconscio, la sua capacità propositiva sono in gran parte sconosciute ai più. Vorrei contribuire a far conoscere e scoprire questa risorsa interiore essenziale e di formidabile valore.
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