Siamo creature complesse, non siamo riducibili a una sorta di congegno che deve girare con meccanica regolarità. Subito mal disposti verso momenti e esperienze interiori in cui sensazioni e stati d'animo non corrispondono alle attese, presto inclini a considerarle anomale quando assumono carattere insistito e poco piacevole, quando sembrano intralciare o nuocere al perseguimento di risultati considerati validi e convenienti, si insiste nella pretesa che tutto di se stessi debba girare a senso unico e concorde con le valutazioni di opportunità e di necessità di cui si è portatori. Ci appartiene però una parte profonda, che non è certo poca cosa, anche se ampiamente misconosciuta, ignorata. Questa parte della nostra psiche che lo si voglia o no è attiva, fa avvertire di continuo la sua presenza, è decisiva nell'indirizzare, nel plasmare ogni momento interiore, ogni espressione del nostro sentire. La nostra vita interiore, il divenire di ciò che si svolge dentro di noi le appartiene. Mica è poca cosa. I sogni poi sono il suo per eccellenza, dove dà il meglio delle sue capacità di pensiero. Insomma una parte non da poco quella svolta dal nostro profondo. Eppure è idea comune che ciò che conta e che segna i confini del proprio essere, ciò su cui è fondamentale fare conto stia nella parte conscia, nell'esercizio del pensiero conscio razionale prima di tutto, nell'impiego della capacità decisionale e della volontà di riuscita. Il resto di sensazioni, stati d'animo, moti interiori è visto solo come una cassa di risonanza di eventi e di condizionamenti esterni e nei momenti decisionali e dell'agire può lasciar vedere solo l'adeguatezza o meno nella propria capacità di reggere il confronto con l'esterno, la propria validità nel dare prova di essere all'altezza. La parte profonda del proprio essere non può subire più radicale misconoscimento delle sue qualità, proprietà e valenze. Eppure questa visione del proprio essere ridotta e circoscritta a una parte, quella di esercizio di intelligenza razionale e volontà, che comunque è considerata egemone e che al resto di emozioni e di vicende interiori riconosce solo un ruolo subalterno, una funzione accessoria e di rincalzo, è la visione comune, imperante. D'altra parte a cosa si bada nell'assistere e nel promuovere il processo di crescita di un individuo se non a che apprenda e si attrezzi di capacità di dare prova di intelligenza, di abilità e di prestanza secondo i criteri convenzionali? E' tutto un equipaggiarsi di schemi di pensiero, di moduli di prestazione in totale disgiunzione dall'intimo. Anzi l'educazione prevede che il dentro si accordi, non faccia storie, che semmai si converta a essere voce gregaria, che si addomestichi. Gioia, esaltazione, entusiasmo, viceversa delusione, frustrazione e sconforto tirati bene con i fili che ormai fanno capo non al dentro sè autonomo, ma a alla autorità del senso comune. Il ben figurare, l'avere successo, l'essere ben considerati diventano la misura del proprio valore, il giudizio altrui è l'autorità di riferimento. Non c'è entusiasmo che più tenga di quello di ben figurare, non c'è delusione e avvilimento più cocente di quello di non riuscire a dare buona prova, a salire il gradino del successo, della prova di merito e di bravura, della conquista di posizioni carriera e di notorietà, del possesso di ciò che pare invidiabile e segno di capacità di riuscita, secondo i criteri comuni e dominanti. Questo stravolgimento di natura raggiunge un tale livello di consolidamento e di consuetudine da risultare ovvio e naturale. Non cè corrispondenza con se stessi, non c'è autonoma scoperta di significati e di valori, tutto corre dietro a altro, ma paradossalmente finisce per apparire normale, dunque naturale, questa condizione di ribaltamento del vero ordine naturale, che vorrebbe che a partire da sè e con l'impiego delle proprie risorse interiori, lavorando sulla propria esperienza, in pieno accordo col proprio intimo si formi la propria scoperta dei significati e di ciò che vale per se stessi e che non la si assuma già concepita e formata da altro che, fornendo le guide e le chiavi di lettura, oltre che i percorsi già segnati, diventa fatalmente regolatore del proprio pensiero e delle proprie aspirazioni. La parte profonda però non sta a guardare, soprattutto non si lascia travolgere e stravolgere da questo corso anomalo, anzi lo vede con chiarezza per quello che è e perciò prende posizione e anima a modo suo il quadro interiore, incalza col malessere interiore, gli dà forte risonanza, proprio per porre il problema, che l'altra parte ignora, così assuefatta com'è al corso innaturale che viceversa considera ormai normale. Che lo si voglia o no siamo creature complesse, in cui per fortuna c'è una parte di noi stessi che non si uniforma, che sa aprire gli occhi, che, seppure considerata subalterna, ha capacità di concepire l'umano come ricerca autonoma, come libertà di pensiero, come desiderio di uscire dal recinto della prestazione da dare, per costruire le basi di una vita autonoma che sappia sviluppare qualcosa di originale e non gregario. Per fortuna l'inconscio c'è, anche se non gode di attenzione, anche se spesso frainteso. Chi lo sa riconoscere per ciò che è e che vale scopre quanto possa e sappia dare per ritrovare la propria vera natura.
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