La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria
vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice
affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non
corrispondente alle proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano
il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della
sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non
certo rara, questa in cui l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito
sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con
la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione.
E’ una condizione che, malgrado le velleità e le illusioni, comporta rimanere
più al di qua e al di sotto che al livello di una realizzazione compiutamente
umana. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla
pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni
e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta
normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in
linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e
del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un
simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come
un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione
quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro
che una meccanica da tenere a bada e in “regolare” esercizio. Nella vita
interiore c'è il meglio di se stessi, del proprio patrimonio e potenziale di
intelligenza, della capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la
visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle
cose, altrimenti totalmente appiattita, falsata, distorta. Quando non fondati
su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da
riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio
profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da
altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee
correnti e prevalenti. Di questa condizione di dipendenza e di omologazione del
proprio pensiero, che sbarra la strada a scoperte più autentiche e a sviluppi
di crescita personale più fedeli a se stessi, permane inconsapevolezza, a parte
che nella parte profonda del proprio essere, che non per caso agita
interiormente le acque, dà nel sentire segnali e richiami insistiti per
guardare con attenzione dentro un modo di procedere tutt’altro che saldamente
fondato, che felice e promettente. L’attaccamento però a un modo di procedere
cui si sono legate le proprie fortune e persino, malgrado non autenticamente
proprio, non generato da sé, il proprio amor proprio, perché rivestito,
malgrado al traino d’altro, da illusorio senso di auto affermazione, perchè
travisato come espressione degna e meritevole di sé e di (presunte) valide
capacità realizzative, questo attaccamento rende quasi necessario, per tutelare
ciò a cui ci si è così fortemente legati,
cui si è consegnato il valore della propria persona e della propria
vita, il controllo su ciò che vive interiormente, trattato come un meccanismo,
come una parte che deve assecondare, che si è pronti a giudicare e a trattare
come anomala quando non corrisponde alle
attese e non si concilia con i propositi in atto. Diventa necessario
tenere a bada ciò che si svolge interiormente, provando a disciplinarlo e
correggerlo, quando discorde dalle attese, esercitando impunemente, come fosse
necessità ovvia e normale, la pretesa che marci concorde con le aspettative e i
risultati che si vogliono perseguire, che paiono proficui, addirittura
irrinunciabili, pena il rischio, questo il convincimento, altrimenti, di
fallire miseramente, di cadere in disgrazia. Qui c’è la distorsione più forte.
La parte più intima di se stessi, che, tirata per i capelli, si vorrebbe docile
e al passo con un procedere tutt’altro che felicemente fondato su di sè, in realtà sa bene quanto
c’è di mancata consapevolezza, di lontananza da una conoscenza di se stessi e
di scoperta di ciò che potrebbe realizzarsi di autenticamente proprio, perciò
dà stimoli, offre negli stati d’animo, nelle sensazioni meno facili lo spunto e
il pungolo per aprire gli occhi, per coinvolgersi in una ricerca di verità
circa il procedere cui si è legati e ciò che si sta perseguendo. La spinta
dell’interiorità, del profondo è a aprire gli occhi, togliendo ogni velo, su
ciò che sinora si è fatto della propria vita, in che modo, vincolati a che
cosa. La spinta interiore è a lavorare con attenzione sulla conoscenza di sé,
non banalmente e non superficialmente, per arrivare, passo dopo passo, con la
guida del profondo, che con i sogni e con ciò che fa vivere nel sentire sa
indirizzare la ricerca mirabilmente, alla scoperta di ciò che, autenticamente
proprio, risalti ai propri occhi come valore vero, che, in unità con tutto il
proprio essere, si senta profondo desiderio e passione di far vivere, di
realizzare. Non siamo nella parte più viva, intima e profonda di noi stessi dei
meccanismi pressoché automatici, all’occorrenza da regolare, portiamo dentro di
noi, sia a livello fisico biologico che psichico, intelligenza e capacità di
tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido,
di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente condizioni di crisi e di sofferenza,
che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più
vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo
accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che
vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di
indirizzare e promuovere trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei
suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica
dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e
dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle
potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di
porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene
purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza
che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che,
ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di
produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul
terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare,
di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema
di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali,
misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si
vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro,
dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità.
L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere
sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di
essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con
tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga
dove invece c'è ben altro, lo si fa dando per scontato che così facendo si
faccia il proprio bene, si operi avendo cura di se stessi. Come la medicina
che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e
risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre
rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da
comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità
e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno
psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe
manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da
domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò
che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha
tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati.
L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al
di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in
realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita
personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole
in chi, procurandosi l’aiuto valido e finalizzato a perseguire questo scopo, ha
fatto la scelta di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di
valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di
chi si è messo in guardia dal pericolo e non ha accettato di rendersi oggetto
di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee
comuni, così come da pareri e da proposte di aiuto di presunti esperti. E'
tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle
qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo
da regolare e da tenere sotto controllo.
domenica 19 maggio 2024
La riscoperta di ciò che siamo
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