domenica 1 giugno 2025

Sentire e pensare

Nel confronto con l'esperienza interiore, con quanto si prova di emozioni, di stati d’animo, si tende spesso a separare presto vissuto e pensato, a trattare quanto vissuto interiormente solo come vago indizio o pretesto per passare in fretta a sovrapporgli significati e spiegazioni, tanto in apparenza plausibili e convincenti, quanto arbitrarie. Perché arbitrarie? Quando ciò che si sente non è raccolto e fedelmente riconosciuto in ciò che originalmente propone, ogni volta rispettandone l’unicità e non considerandolo copia o ripetizione di altro già sperimentato o sperimentato da altri, quando non è ascoltato con attenzione nel suo dire, ma reso solo espressione tipica di qualcosa che si presume di sapere, che già si ha in testa, che spesso si trae da idee abituali e comuni, ogni spiegazione messa sopra alla propria esperienza interiore, al proprio sentire è arbitraria, incongrua, come accade nel rapporto con l'altro quando già si commenta e si parla sopra ciò che l’altro sta dicendo, senza stare ad ascoltarlo, rimanendo zitti e col desiderio di farsi portare a comprendere. Nel rapporto col proprio sentire, particolarmente quando sofferto e difficile, è operazione assai frequente cercare di spiegarne il perché e il percome, facendo ricorso a giri di ragionamento, cercando in cause ipotetiche e in apparenza plausibili le ragioni del disagio, incastrandone in soliti schemi già noti tutto il senso. Accade dunque che il sentire non sia ascoltato in ciò che dice e rivela, in ciò che vuole condurre a riconoscere. Si pensa che ciò che si sente nasca sempre da una causa esterna e che ne sia risposta condizionata, un effetto, una automatica reazione. Il sentire non è conseguenza di una causa, una sorta di risposta riflessa, il sentire è ben altro e di più, è luogo d'esperienza e fondamento vivo di ricerca, è via e guida di conoscenza, è proposta intelligente. Col ragionamento viaggiamo liberi in lungo e in largo e costruiamo ipotesi tanto ben disegnate e sagomate quanto spesso sterili e lontane da ogni relazione con l'esperienza intima, tanto ben ricamate quanto spiantate e perciò senza alcuna corrispondenza con noi. Il sentire ci riporta al terreno vivo e reale di ciò che ci coinvolge e che ci riguarda davvero. Il nostro sentire ci permette in una forma sensibile di entrare puntualmente in rapporto con ciò che abbiamo necessità di avvicinare, di capire di noi stessi, un pò come conoscere una cosa toccandola, sentendola, un pò come camminare a piedi nudi e sentire il terreno, apprezzando tutte le caratteristiche vere del cammino che stiamo facendo passo dopo passo. Se col ragionamento risistemiamo le cose, spesso e volentieri, a piacimento, nel sentire non ci tacciamo nulla. Se si ha a cuore la conoscenza del vero di se stessi, è necessario dunque riservare grande attenzione al sentire, averne rispetto, imparare ad ascoltarlo sempre, senza rifiuti, senza separazioni di comodo tra bel sentire o brutto, è fondamentale non dare per scontato nulla sul suo conto, non trarre rapida conclusione che dipenda da questo o da quell'altro, che ne sia ovvio il senso, per viceversa imparare a riconoscere con sguardo attento ciò che sta rivelando, dicendo. Per intima esperienza e imparando a raccogliere ciò che il sentire produce, tenendo strettamente vincolato il pensare al sentire, si può davvero capire, conoscere. Separando il pensiero dal sentire e consentendo al pensiero scisso di tenere in pugno la conoscenza come ragionamento, ci si chiude a qualsiasi possibilità di capire se stessi. Solo facendo esperienza col sentire e mettendoci, attraverso riflessione, come allo specchio per vedere cosa succede dentro le nostre sensazioni e stati d’animo, cosa ci rimandano di vissuto, di attuale e vivo di noi stessi, possiamo fare conoscenza fondata e vera, utile e feconda. Solo imparando da un lato a concederci al nostro sentire spontaneo e vero, perché ci permei, ci renda partecipi e coinvolti e così facendo ci guidi, anche se a volte per percorsi difficili o dolorosi, solo imparando a riflettere, perciò a rispecchiarci e a riconoscere ciò che il nostro sentire nella sua forma, nei suoi modi ci rivela di ben fondato e vivo di noi stessi, possiamo tenere ben unito il nostro pensare, il nostro intento di vedere, di capire, col nostro sentire, evitando che il nostro pensiero (raziocinante), scisso dal sentire, prenda indirizzo avulso, forma astratta e arbitraria, fuorviante e inconcludente. Va detto poi che il nostro profondo, che genera e plasma per intero il nostro sentire, che ci propone percorsi a volte non facili, ma sensati, attraverso cui capire, imparando a non fuggire, ma standoci all’interno e dall’interno prendendo visione e consapevolezza, è anche assai generoso di indicazioni e di suggerimenti per capire, con lucidità e ampiezza di orizzonte, noi stessi e quanto sta accadendo, attraverso i sogni. Certo i sogni non vanno letti in chiave concreta o interpretati frettolosamente e con disinvoltura, esercitando nei loro confronti lo stesso arbitrio del dare spiegazioni impiegato col sentire, come detto in precedenza. I sogni vanno analizzati con cura fin nei dettagli e scoperti nella loro originale proposta, perché possano dire e dare ciò che racchiudono. Sono una risorsa preziosissima, nei sogni c'è capacità, come in nient’altro, di leggere dentro di noi, di sviluppare pensiero fondato e non spiantato. I sogni sono il prodotto più fine e maturo dell'intelligenza dell'inconscio, dell'intelligenza che portiamo dentro di noi, nel nostro profondo. La strada per capire noi stessi e il senso di ciò che ci accade interiormente, accettato e accolto nella sua integrità e interezza, non è certo facile e immediata, ma possibile, purchè con ciò che vive dentro di noi sappiamo aprire un rapporto vero, un dialogo rispettoso e capace di attingere a ciò che la nostra interiorità sa offrirci e vuole proporci.  Se si tratta ciò che si prova, particolarmente quando insolito o sofferto, come cosa, come sintomo da consegnare a qualche esperto, che, emettendo una diagnosi e applicando un trattamento, tratti parte viva di se stessi come oggetto da manipolare, da mettere a tacere o da correggere, si sceglie una soluzione relativamente comoda, anche se destinata a non produrre nulla di positivo nel rapporto con se stessi, a far persistere lontananza e incomprensione,  diffidenza e timore verso parte intima di sé, relegata, liquidata, senza darsi possibilità di conoscerla in ciò che è e che vale davvero, nell'anomalo, nel patologico, augurandosi solo che passi, che, chissà come, si riaggiusti, che non si ripresenti. Nulla interiormente accade senza uno scopo. Lo si comprende cominciando a lavorarci sul serio, dando voce a quella parte di sé che prende voce nel  malessere e nella crisi (e non per fare danno, ma casomai per indurre a prendere se stessi e la propria sorte sul serio), iniziando a ricucire quel contatto col dentro, a tessere quel dialogo con se stessi che manca, imparando a raccogliere e a ascoltare e comprendere l'intimo significato di ogni momento del proprio sentire, dando occasione ai propri sogni di introdurre alla conoscenza di se stessi  e di fare da guida nel mettere assieme il proprio, ciò che davvero appartiene e che corrisponde a sé. Un lavoro impegnativo, ma necessario, scegliendo chi sappia aiutare a farlo, a meno, in presenza di malessere interiore che non cede, che insiste nel voler aprire la strada a prese di coscienza del vero e a trasformazioni importanti, di non voler passare una vita nella paura e nell'ostilità verso parte di se stessi, fraintesa come nemica e da tenere a bada, quando è ben altro, prolungando all'infinito un equivoco madornale. Presunte vittime di ciò che di se stessi non si sa comprendere, si rischia di proseguire crisi dopo crisi nella recriminazione e nel lamento, casomai cercando consolazione nel pensiero che cosa analoga accade a altri, nel mal comune cercando mezzo gaudio.

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