domenica 7 settembre 2025

Il potere del marchio

E' sorprendente come risulti gradita e ben considerata da parte di chi vive un'esperienza di disagio e di sofferenza interiore l'operazione di vedersi attribuire un'etichetta riconosciuta come atto di scienza. Pare risolvere ogni dubbio circa il significato di ciò che sta provando, di cui sta facendo intima esperienza. Fatta equivalere alla diagnosi in medicina, sembra dare a chi la riceve certezze, la certezza di sapere da quale presunto morbo sarebbe afflitto, in qualche modo traendo conforto, nel tribolato confronto con la sua esperienza interiore difficile e sofferta, dalla possibilità, vidimata, certificata dalla diagnosi dell'esperto, di incasellarla come disturbo e come guasto, di stigmatizzarla come accidente e carico negativo di cui, dopo l'etichettamento diagnostico, con più persuasione considerarsi vittima e volersi liberare. L'etichetta diagnostica pare offrire un ulteriore vantaggio, perchè ritenere di avere comune sorte con altri, pur essi inseriti nella stessa casella della stessa presunta patologia, sembra in qualche modo dare rassicurazione e rincuorare. La delega a altri di sancire da esperto o presunto tale cosa sia ciò che l'individuo sta vivendo nell'intimo è il primo passo di una delega più ampia fatta al terapeuta diagnosta, di prendersi cura di sé, esercitando un ruolo di arbitro nel dire come provvedere, che farmaci o soluzioni adottare. Tutto questo, la presa di distanza dal proprio che vive dentro se stesso, il disimpegno dal difficile confronto con la propria vicenda interiore, dal compito di capire se stesso nella parte intima e profonda, di comprendere ciò che la propria interiorità attraverso il malessere vuole comunicare e far intendere, sembra dare sollievo, garantire un vantaggio, sembra un modo valido e favorevole di prendersi cura di sè. D’altra parte la propria vita interiore, ciò che nel sentire si muove e si propone passo dopo passo nella propria esperienza quotidiana, non ha avuto di certo nel tempo, nella vita di molti, della stragrande maggioranza, un posto di rilievo. Considerando sempre le proprie emozioni, il proprio sentire come conseguenza di cause e di fattori esterni e non come voce della parte intima e profonda, come richiamo e proposta rivolti alla parte cosiddetta conscia, il rapporto col proprio intimo, col proprio sentire è stato e è di convivenza poco attenta. Un rapporto fatto di attenzione saltuaria verso sensazioni e stati d’animo, a cui, quando più marcati, è destinato qualche commento, deduzione e spiegazione, che, affidate all’arbitrio del ragionamento, per quanto in apparenza plausibili, fatalmente nulla hanno a che vedere con ciò che quel sentire vuole comunicare, con ciò che potrebbe essere raccolto e inteso se si fosse portata a maturazione capacità di ascolto, di comprensione del linguaggio interiore. Intendersi con la parte intima di sé non è stata e continua a non essere per molti la priorità. Nel percorso di crescita è stato e è il legame e lo scambio con l’esterno, con gli altri al centro del proprio apprendimento, del proprio sguardo e delle proprie preoccupazioni e attenzioni. Ciò che vive interiormente è considerato solo una coda, un’eco di accadimenti esterni, un loro seguito su cui prevale l’intento di tenerlo in qualche modo a bada e a rimorchio. Quando dunque le cose interiormente si fanno difficili, poco piacevoli e insistenti la reazione è quella di allarmarsi, di mettersi da subito sulla difensiva e sulla controffensiva, di reagire contro una sorta di minaccia, di peso molesto, finendo per consegnare quell’esperienza al titolare di una cura, perché gli dia una definizione e da lì un trattamento, possibilmente rapido e risolutivo. La possibilità di scarico di ciò che interiormente impegnativo e che già in partenza, prima dell'incasellamento diagnostico, era considerato un guasto e una presenza molesta, una volta ottenuta la cosiddetta diagnosi, la diciturina di sindrome o di patologia tal dei tali, è confortata, autorizzata e incentivata dalla scienza, da chi ne sarebbe esponente e depositario, che autorizza a rigettare come patologia ciò che di sè è difficile da sostenere e da comprendere. In presenza di una esperienza interiore certamente sofferta e all'inizio di difficile comprensione, sarebbe importantissimo essere aiutati a avvicinarla, a ascoltarla e a capirla in ciò che dice. Dopo l'etichettamento come patologia col suo bel nome l'auspicio viceversa è soltanto di metterla a tacere, di combatterla e di debellarla. L'operazione diagnostica di incasellamento di una complessa e personalissima esperienza interiore in una categoria o casella del patologico anche se comporta la conseguenza, non certo lieve, di affossare ogni fiducia in ciò che vive dentro se stessi, anche se in una forma così insolita e difficile da reggere, è però tutt'altro che sgradita, anzi è benvoluta, riverita e accreditata come capace, oltre che di riaprire una possibilità di salvezza, di spiegare tutto, di dare definizione, volto definitivo, di fare chiarezza. Magia delle parole di sapore tecnico che illudono che ci sia scienza e conoscenza dove invece scatta solo un'operazione di grossolana descrizione delle apparenze, sostenuta da pregiudiziale distinzione tra ciò che è ritenuto valido, sano, accettabile e normale e ciò che invece è, senza ombra di dubbio, collocato nella serie delle cose anomale, devianti dalla norma, diligentemente distinte e catalogate in varie caselle diagnostico descrittive. Capire se stessi, scoprire che nulla di ciò che si prova è insensato e privo di capacità di dire, di favorire l'avvicinamento a se stessi e la presa di coscienza di qualcosa di importante, è possibile con l'aiuto giusto. E' la parte profonda del proprio essere a muovere il malessere, in una forma niente affatto casuale, per spingere e impegnare a fermarsi, a aprire gli occhi sulla propria condizione vera, fuori da illusioni, a vedere ciò che nel modo di procedere, di pensare e di pensarsi abituale è totalmente ignorato, travisato, non compreso. Non c'è nulla nelle proprie vicende e vicissitudini interiori che non sia capace di dire e di dare consapevolezza utile e fondata, che non abbia questo scopo. E' la fiducia nella propria interiorità che va conquistata, scoprendo appunto, a dispetto della insofferenza, dell'allarme e del timore verso ciò che genera e propone, che invece tutto ciò che si sente e che si sperimenta interiormente ha sempre, anche nelle sue espressioni meno facili e in apparenza, solo in apparenza, abnormi, un senso, dice, vuole condurre a capire, a capirsi. Solo l'aiuto volto a ascoltarsi e a comprendere il linguaggio della propria interiorità può offrire questa opportunità, può permettere di non porsi in fuga o in guerra col proprio intimo. Prendersi cura di sè senza creare dissidio e disunione con ciò che si vive interiormente, senza alimentare paura e diffidenza verso parte intima di se stessi, traendo viceversa occasioni di crescita dalla propria crisi e sofferenza, è possibile.

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